Il domino delle insolvenze: così dazi e IA mettono in crisi le imprese
Il 2025 sarà, secondo Allianz Trade, l’anno di picco, con un +6% a livello globale: in Italia 13mila i casi, con un +35%. Anche Coface prevede in un rapporto l’aumento dei default delle aziende

Il tema dei dazi è sempre più intrecciato con il destino di migliaia di imprese: mentre gli Stati Uniti continuano ad alzare le barriere commerciali e i flussi globali si riorientano, il numero delle insolvenze aziendali cresce. E l’Italia si riscopre vulnerabile: dopo il livello minimo registrato a metà del 2023, il numero di insolvenze aziendali nel Paese è tornato a crescere con forza nel 2025, in linea con la maggior parte delle economie europee e, in alcuni casi, oltre i livelli pre-pandemia. A livello globale, secondo l’ultimo Insolvency Report di Allianz Trade, il 2025 sarà l’anno del nuovo picco: le insolvenze aziendali aumenteranno del 6%, dopo il +10% del 2024, e continueranno a salire anche nel 2026 (+5%), prima di un lieve calo nel 2027 (-1%). È la prosecuzione di una curva ascendente iniziata nel 2020, un ciclo lungo, alimentato da fattori diversi: tassi d’interesse elevati, credito più rigido, crescita debole. Ma soprattutto, da un progressivo irrigidimento del commercio internazionale. Gli effetti dei dazi imposti dall’amministrazione Trump – che raggiungeranno un tasso effettivo del 14%, entro la fine dell’anno – non si sono ancora pienamente manifestati. Per ora, a mitigare l’impatto sugli Stati Uniti hanno contribuito l’aggiustamento dei prezzi da parte degli esportatori e il dirottamento dei flussi commerciali verso Paesi come India e Vietnam. Ma è un equilibrio provvisorio.
Allianz Trade prevede che nel 2026 l’effetto domino esploderà: gli Stati più dipendenti dalle esportazioni vedranno aumenti sensibili delle insolvenze. In Italia nel 2025 si stimano circa 13.000 casi di insolvenza, un aumento del 35% rispetto all’anno precedente, quando i fallimenti erano stati poco più di 9.600. È il terzo anno consecutivo di crescita: +9% nel 2023, +17% nel 2024, ora un balzo che riporta il Paese sopra i livelli pre-pandemia. Le cifre di Allianz Trade raccontano un fenomeno diffuso, che attraversa tutti i settori: commercio (21% dei casi), costruzioni (19%), manifatturiero (16%), ospitalità (9%). A incidere non è solo la congiuntura, ma un intreccio di fragilità strutturali e choc esterni che si alimentano a vicenda. Le imprese italiane, spesso di piccole dimensioni e con margini esigui, subiscono il contraccolpo dei costi energetici e dei costi del credito. E quando il commercio rallenta, il rischio si moltiplica: i fornitori vedono svanire gli ordini, le filiere si inceppano, la liquidità evapora. Allianz Trade prevede che anche il 2026 sarà un anno difficile, con 13.400 casi (+3%), prima di un fragile miglioramento nel 2027. A confermare questa tendenza c’è anche un altro studio, la Risk review di Coface, gruppo internazionale specializzato in assicurazione dei crediti commerciali, secondo cui nelle economie avanzate le insolvenze sono cresciute del 4% nel primo semestre del 2025. Il suo indice di rischio politico e sociale globale ha toccato un record storico, 41,1%, segno che la fragilità non è solo economica ma anche istituzionale. Coface, che monitora il credito e le tensioni geopolitiche, prevede per il 2025 una crescita mondiale del 2,6% e del 2,4% nel 2026, con Stati Uniti ancora resilienti grazie alla domanda interna e agli investimenti in IA, ma con i primi segnali di rallentamento già visibili in occupazione e inflazione. I dazi, intanto, si consolidano: il tasso medio negli Usa è oggi al 18%, ben più alto del 2,5% dei tempi di Biden. All’apparenza, l’economia americana regge. Ma Coface avverte che la trasmissione degli effetti negativi è solo agli inizi: le tensioni sui prezzi e la progressiva erosione dei margini si faranno sentire.
Tre sono le fragilità che Allianz Trade individua come decisive per il futuro prossimo: crescita anemica, credito difficile, e debolezze settoriali concentrate in costruzioni e automotive. Poi c’è un’altra faglia che si sta aprendo: quella dell’economia digitale. La nascita di nuove imprese, favorita dalla tecnologia e dalla spinta dell’IA, ha gonfiato un boom che potrebbe rivelarsi effimero. Secondo le stime, la fine di questa corsa — un’eco moderna della bolla delle dotcom — potrebbe generare fino a 4.500 insolvenze negli Stati Uniti, 4.000 in Germania, 1.000 in Francia e 1.100 nel Regno Unito. Un colpo che si riverbererebbe su fornitori e partner in tutta Europa, Italia inclusa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Temi






