mercoledì 29 luglio 2020
Il ceto medio calabrese, messo in ginocchio dal lockdown, non sa rialzarsi: ha chiuso un’azienda su 10. Le altre rischiano di finire in mano alle cosche. L’appello delle diocesi
Un momento dell’attività di sostegno ai poveri nell’Emporio della solidarietà di Reggio Calabria

Un momento dell’attività di sostegno ai poveri nell’Emporio della solidarietà di Reggio Calabria

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Da giovedì scorso è partito il viaggio di "Avvenire" nella "pandemia sociale": l'inchiesta che racconta l'emergenza economica causata dal coronavirus. Città per città, territorio per territorio, il nostro impegno porta ai lettori la fotografia di un'Italia piegata dal Covid-19. Famiglie in difficoltà, imprese a rischio usura, vecchi e nuovi poveri aggrappati alla solidarietà dello Stato e delle molte associazioni cattoliche in prima linea. TUTTI GLI ARTICOLI

Autonomi, stagionali, aziende familiari. A Reggio Calabria, sono loro i soggetti fragili della pandemia economica post-lockdown: è vero, l’estate – che al Mezzogiorno è sinonimo di turismo – è iniziata, ma i numeri preoccupano. Nonostante gli appelli, infatti, la Calabria non si è trasformata nella “spiaggia di Italia”; a vincere è stata la paura: come conferma l’indagine di Unioncamere, infatti, un italiano su due non andrà in vacanza. La preoccupazione per il ceto medio è condivisa dalla Chiesa locale assieme alle forze produttive del territorio: lo spauracchio è l’usura che in Calabria fa rima con ’ndrangheta. «Vi imploro, non cercate soldi: non entrate nella spirale infernale dell’usura. Sapete le vostre condizioni di ora, ma non comprendete come e se ne ne uscirete», afferma monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova. «Venite meglio alla Caritas» si lascia sfuggire il presule. Perché la paura che le cosche «portino le buste della spesa a casa» è tangibile. «Purtroppo il pizzo non conosce tregua e a pagarne le conseguenze più grave sono i micro-imprenditori», ci dice Ninni Tramontana, presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria che evidenzia come il virus del racket non si sia fermato neanche davanti al Covid-19. Un dato confermato anche da Confesercenti che stima come un’azienda su 10 non riaprirà più in riva allo Stretto.

Da un lato, la Procura prosegue l’azione di contrasto alla criminalità organizzata, dall’altro mancano le risposte in ambito sociale da parte delle altre istituzioni. Il famigerato pacchetto di misure a favore dell’economia non ha sortito gli effetti sperati. «Sono pochissime le aziende che sono riuscite a concludere l’istruttoria del Cura Italia – chiosa Domenico Vecchio, presidente degli Industriali reggini – figuriamoci se e quando arriveranno i soldi». Stessa sorte, al momento, per le sovvenzioni regionali: il sito di 'Riparti Calabria', circa 140 milioni di risorse destinate alle piccole e medie imprese del territorio, è subito fuori servizio. Istruttorie impossibili da definire; un paradosso come la Cassa integrazione in deroga i cui primi pagamenti – risalenti alla mensilità di marzo – sono stati erogati pochi giorni fa (e non ancora a tutti) come confermano diverse fonti sindacali e datoriali. Problemi uguali da Aosta a Lampedusa, qualcuno potrebbe commentare. Quasi se si considera il 21% di disoccupazione (dato che risale all’ultima rilevazione Istat del 2019 e che posiziona la Calabria nella top ten con più disoccupati d’Europa).

Uno degli “effetti” di questa crisi si riverbera sui servizi di prossimità quale l’Emporio diocesano della Solidarietà di Reggio Calabria, diretto da don Nino Russo. «Siamo arrivati a servire quasi 500 famiglie, con un incremento di quasi il 20% da marzo ad oggi». Numeri in costante crescita, al pari di quelli del Banco Alimentare che, come conferma il presidente Giuseppe Bognoni, seppur rallentando rispetto ai numeri abnormi della quarantena collettiva, continua a erogare alimenti come mai successo prima.

La Caritas diocesana di Reggio-Bova, oltre a proseguire in tutti i suoi servizi, è a lavoro per la redazione di un’analisi aggiornata sulle povertà dell’area metropolitana. Oltre ai numeri, ci sono le storie. Spesso incancrenite poiché parlano di ritardi su ritardi; perché se è vero che a “tremare” è il ceto medio, molto (ma molto) peggio va ai poveri “storici”. Il caso dei senzatetto è emblematico: da Palazzo San Giorgio confermano che, prima della scadenza del mandato (prevista per fine agosto), si avrà la destinazione definitiva della casa dei clochard all’interno di un bene confiscato alla ’ndrangheta, ma l’emergenza resta. Al pari di tante altre piccole, grandi, urgenze: il sostegno alle donne vittime di violenza, la condizione paradossale in cui versano i quartieri “a rischio” come Arghillà e Rione Marconi, sommersi dalla spazzatura e senza fornitura idrica; oppure le difficoltà di esperienze positivissime come le suore alcantarine con sede ad Archi, quartier generale delle famiglie di ’ndrangheta, che per la prima volta dopo 15 anni hanno dovuto rinunciare alla loro animazione di strada estiva. Insomma, l’arcidiocesi di Reggio-Bova prova a rispondere alle esigenze del territorio, ma la l’emergenza economica – se non affrontata con la stessa solerzia con cui si è arginata la diffusione del coronavirus a queste latitudini – rischia di fare molte più vittime di quella sanitaria. Appiattendo, verso il basso, i ceti sociali e favorendo lo strapotere della criminalità organizzata.

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