venerdì 24 giugno 2022
Il direttore del Pam a Berlino: Cop26 aveva rilanciato lo sforzo internazionale per la lotta al cambiamento climatico. Ora la situazione è addirittura peggiorata. Ecco perché
Martin Frick

Martin Frick - Flickr

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A novembre, COP 26 aveva rilanciato lo sforzo internazionale per la lotta al cambiamento climatico. Ad oggi poco è cambiato. 94 Paesi su 196 hanno presentato nuovi piani climatici, ma insieme questi rappresentano solo il 22% delle emissioni globali. Con quali ricadute per il nostro pianeta e per le popolazioni delle zone più fragili del mondo?

Martin Frick è il direttore dell'Ufficio del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite a Berlino (WFP). In questi giorni, peraltro, ha partecipato al Global Forum di Milano, importante evento promosso dall’Ispi e dell’Università Bocconi, anche per fare il punto sulla situazione ambientale a otto mesi da Cop26, ricordando che alcuni dati relativi alla transizione verde sono soltanto peggiorati dopo il ritorno della guerra nel centro dell’Europa, a iniziare dall’aumento nell’uso dei combustibili fossili. Facciamo il punto della situazione rivolgendogli alcune domande.

Proprio in queste ore la BBC ha trasmesso un servizio con alcuni dati rilevanti: il mondo sta assistendo a una "corsa all'oro" per nuovi progetti sui combustibili fossili, secondo un aggiornato rapporto di autorevoli ricercatori americani sui cambiamenti climatici. L'aumento dei prezzi dell'energia, spinto dall'invasione russa dell'Ucraina, ha portato a nuovi investimenti in petrolio e gas. Un rapporto di Climate Action Tracker afferma che il mondo rischia di essere bloccato in un "riscaldamento irreversibile". Come commenta tutto questo?

Cop26 aveva rilanciato un enorme e importante sforzo internazionale per la lotta al cambiamento climatico. Dopo questi mesi, purtroppo, non solo la situazione è preoccupante, ma è addirittura peggiorata rispetto a quanto si diceva a Glasgow. Peraltro stiamo andando incontro a un mondo drammaticamente arido. Le Nazioni Unite avvertono che, continuando di questo passo, i 3,6 miliardi di persone che oggi vivono con scarsità d’acqua, diventeranno 4,8 miliardi entro il 2050. Ad oggi, perfino la ricca California sta razionando l’acqua. Da Roma a Mogadiscio la situazione della siccità dilagante non deve minimamente farci stare tranquilli. Peraltro, come ben noto, la guerra sta aumentando il disastro ambientale, rendendo allarmanti i dati a Est, già non favorevoli nei Balcani. E’ un effetto collaterale certamente non trascurabile, che diventa, per gli analisti, un effetto primario da tenere a bada. Le temperature estreme, in India, insieme alla siccità, stanno creando una situazione altamente pericolosa, così come l’emergenza lanciata dal Corno d’Africa.

Questa guerra, come si sta ribadendo da più parti, sta affamando il mondo per molteplici ragioni: esportazioni, blocchi, sanzioni, speculazioni economiche. Dove si stanno verificando le conseguenze peggiori?

I temi sono tutti strettamente collegati: emergenza climatica, guerra, produzione di armi, minaccia nucleare, carestia, siccità. Non è facile dire esattamente chi sta soffrendo di più. Dal Kazakistan al Kuwait sono state dichiarate severe restrizioni in almeno 23 Paesi, non solo africani, ma anche dell’Asia Centrale. Il primo dato a saltare all’occhio è che il Medio Oriente è una delle regioni più colpite dai cambiamenti climatici. Per limitarci alla più superficiale delle rilevazioni è sufficiente notare che le temperature massime nel Golfo Persico arrivano a superare i 50 gradi. Tuttavia, l’aumento della temperatura è solo uno degli aspetti di una più ampia crisi ecologica, che caratterizza quella regione: un fenomeno profondo che riguarda il rapporto dell’uomo con il creato e con la sua stessa esistenza, passante anche per il pane quotidiano.

Anche la Siria è un caso paradossale e paradigmatico, oggi, peraltro, quasi lasciato a margine…

Le conseguenze lì sono paradossali: i fiumi vengono utilizzato per l’irrigazione dei campi ma il basso livello dell’acqua obbliga gli agricoltori a far funzionare più a lungo le pompe d’acqua alimentate a diesel (il cui prezzo è aumentato parecchio). Ciò innalza i costi della coltivazione tanto che in alcuni casi i contadini scelgono di lasciare incolti i campi, perché i costi della produzione sarebbero più alti di quanto si potrebbe ricavare vendendo la merce. Non è migliore la situazione dell’Iraq, altrettanto dimenticata: la tempesta di sabbia che dura da settimane è impressionante e fa parte ancora di quel quadro di “numeri aridi” di cui accennavamo in precedenza.

Ancora una riflessione conclusiva. Come garantire i diritti di proprietà fondiaria per ottenere la neutralità del degrado della terra e contenere la siccità?

Le persone che vivono nelle zone aride e nelle aree colpite dal degrado sono tra le più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici, questo è ovvio. Proprio per tali ragioni il discorso ambientale si fa strettamente economico, ma secondo dei parametri che hanno l’uomo al centro dell’economia. Per proteggere i mezzi di sussistenza di queste persone in difficoltà, è fondamentale adottare misure di sovvenzionamento per evitare e invertire, in tempi brevi, il degrado del suolo, nonché garantire la sicurezza del loro possesso fondiario, come è stato riconosciuto ed evidenziato già alla COP14, nel 2019, attraverso la decisione COP14/26 sulla proprietà fondiaria. I diritti sul proprio pezzo di terra sono fondamentali per contenere siccità e carestia, soprattutto prevedendo aiuti concreti per questi piccoli agricoltori spesso lasciati a margine, che possiedono soltanto un ettaro e mezzo di terreno.

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