domenica 20 settembre 2009
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Il tuo alimento sia anche la tua medicina. E la tua medicina sia anche il tuo alimento. Quasi 2.500 anni dopo la nascita di Ippocrate, fondatore dell’arte medica (prima di lui era magia, con lui diventa scienza), l’«alimento che cura» si trasforma in realtà. Si chiama «nutraceutico», parola coniata da Stephen De Felice nel 1989 con una crasi tra «nutrition» e «pharmaceutical». È in atto un radicale rinnovamento del concetto di nutrizione e l’obiettivo è cambiato: non si tratta solo di assicurare alimenti a sufficienza a popolazioni sottonutrite, quanto di fornire, a tutti, sostanze nutritive capaci anche di prevenire e curare alcune malattie. Non si riesce a sradicare il complesso delle patologie cerebrovascolari, nei Paesi poveri come in quelli ricchi? Uno dei progetti al quale la ricerca lavora oggi con particolare interesse sono i «nutraceutici transgenici». Uno di questi mira a tramutare le carni del maiale in fabbriche di omega 3, gli  acidi grassi «buoni» che proteggono vene e arterie di cuore e cervello (gli acidi grassi saturi, invece, fanno aumentare il colesterolo «cattivo»). Ci si riesce con l’aiuto di un gene, il fat-1, prelevato da un verme. Così anche chi non ha la possibilità o la pazienza di procurarsi gli omega-3, potrà difendere la propria salute senza sacrificare la tavola e anzi gustando braciole di maiale. Lo scopo più ambizioso è portare a compimento dei nutraceutici da utilizzare nelle campagne per la vaccinazione di massa dell’infanzia, che nel Terzo Mondo risulta particolarmente difficile. Per esempio, potrebbe essere prodotto un riso speciale che contenga il vaccino anticolera (opererebbe in sinergia con  il golden rice, dotato di vitamina A, che mira a salvare dalla cecità milioni di bambini, nota Giovanni Burini, docente di Chimica degli alimenti all’Università di Perugia). Ma potrebbe essere diffuso anche un latte che faccia da veicolo al vaccino anti-malaria. Ed è conosciuta la carota Beta Sweet che ha una quantità di beta-carotene (precursore della vitamina A) nettamente superiore a quello normale contenuto negli alimenti, e include gli antociani, pigmenti naturali presenti anche in uva nera, more, mirtilli. Hanno una preistoria i nutraceutici. Comincia nel periodo fra le due guerre mondiali, quando il famoso dottor Hauser propone di somministrare ai convalescenti  latte «rinforzato», cioè il latte comune ma fortemente arricchito con latte in polvere. Non era ancora un nutraceutico ma certo un precursore degli attuali functional food. Oggi il latte viene potenziato con la vitamina D (necessaria per la crescita e la salute delle ossa) oppure con enzimi che lo rendono digeribile anche per quanti soffrono di intolleranza al lattosio. Ai succhi di arancia è aggiunta vitamina C, che garantisce il funzionamento delle difese immunitarie. Ma è l’ingegneria genetica il volano del boom dei nutraceutici. Per progettare quelli transgenici occorre un numero enorme di tentativi; si sperimentano mix di migliaia di geni. E dalla preistoria degli anni Trenta i nutraceutici sbarcano nel tempo presente. Nei primi anni Ottanta, la biotecnologia apre loro le porte e si progettano batteri manipolati per poter produrre patate e fragole resistenti alle gelate. Nel 1985 vengono autorizzati test su piante transgeniche perché risultino invulnerabili di fronte all’attacco di insetti e virus. Nel 1994 è la volta del pomodoro americano che non marcisce (o che «matura a comando»); si chiama Flav Savr. I pomodori normali diventano rossi e maturi per via del fitormone etilene. Perché i pomodori maturino, basta metterli in celle con un’alta quantità di gas etilene. Seguono, nel tempo, gli esperimenti sui salmoni giganti. Poi le company delle biotecnologie si gettano nella gara. Una volta entrati nell’era del nutraceutico transgenico, la competizione è accanita. Molte sono le sostanze e molti i geni che, inseriti negli alimenti, li rendono capaci di prevenire malattie. Si parte dallo iodio, elemento chimico la cui mancanza provoca displasie cellulari (che possono causare tumori) e ritardo mentale. Somministrato nel sale da cucina fa arretrare le atipie cellulari e ridà vigore al sistema immunitario. Il coenzima Q10 inserito nello yogurt svolge un’efficace azione contro i radicali liberi. Anche l’acqua da bere diventa un technofood se viene aggiunto fluoruro che impedisce  la demineralizzazione dei denti. Negli Usa la fornitura costa un euro all’anno pro capite. I ricercatori hanno individuato sostanze che, estratte dall’olio di fegato di alcune specie di squali, hanno un effetto anti-infiammatorio e immuno-modulante. Il gene dell’anticongelamento che permette ai salmoni di risalire i fiumi dell’Alaska, trasferito nelle fragole le rende capaci di crescere in ambienti gelidi. Rientrano nella grande famiglia degli animali geneticamente modificati il maialino e la pecora: il primo ingrassa con due mesi di anticipo, la seconda produce lana più rapidamente. Come tutte le innovazioni tecnologiche, anche questa ha i suoi rischi, e coincidono in buon parte con quelli classici della bioingegneria. Se si rilasciano nell’ambiente organismi geneticamente modificati, possono svilupparsi super-erbacce e super-parassiti resistenti ai pesticidi. Inoltre alcune erbe potrebbero contenere geni animali o addirittura umani (e sarebbe giustificato sotto il profilo etico?). «Ma abbiamo veramente bisogno di questi alimenti funzionali oppure, ancora una volta, l’industria vuole imporci modelli alimentari che non ci servono? Cioè modelli studiati per differenziare nettamente i nuovi prodotti dagli altri simili, per poi venderli sul mercato con maggiori profitti? Comunque, teniamo presente che i nutraceutici di origine transgenica non sono ancora disponibili per essere coltivati "in pieno campo" e venduti sul mercato. Sono ancora oggetto di studi e di esperimenti nei laboratori di ricerca», spiega Claudio Malagoli, ordinario di etica dell’alimentazione presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo/Bra (Cn). E aggiunge: «Le promesse dei nutraceutici sono entusiasmanti ma bisogna esaminarle a mente fredda».
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