mercoledì 17 novembre 2021
Nel libro di BookCity 11 parole per 10 anni. E proprio di libri parla Alessandro Bergonzoni, dal teatro alla scrittura
Alessandro Bergonzoni

Alessandro Bergonzoni - Ansa

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BookCity Milano celebra dieci anni con un volume che ruota attorno a 10 parole sugli elementi centrali della manifestazione, a cui se ne aggiunge una speciale: dieci. In testi inediti 11 autori italiani le interpretano nella maniera più libera possibile. Oltre a Bergonzoni (del quale anticipiamo un passo), Agnello Hornby, Aspesi, Bacilieri, Balzano, Bazzi, Marzano, Geronimo Stilton, Uyangoda, Veronesi, Lingiardi. Il libro verrà regalato nelle sedi BookCity e nelle librerie aderenti a seguito dell’acquisto di almeno due volumi; sarà presentato nell’evento di chiusura di BookCity, domenica alle 19 al Teatro Franco Parenti.

Spesso mi domando: di che risma siamo fatti noi uomini? Quanti uomini stanno andando al macero che non abbiamo ancora né letto né conosciuto? Chi scrive lo fa sempre con la mano che migra da sinistra a destra (escluso arabi e cinesi), che va da una costa all’altra del foglio sperando di arrivare di là sano e salvo, portando lettere passeggere e pensieri esuli e pendolari; mettendo in conto che si può anche affogare in quel mar Bianco, si può non riuscire più a respirare e nemmeno ispirare su quel foglio piatto che finisce al bordo dove si può precipitare, cadere giù, tramontare come un sole per poi riapparire nell’altra facciata sottostante, parte di un altro mondo. Le fasi della luna, le frasi della luna, le fasi della vita, le frasi di una vita: il discorso si fa universale e cosmico, interstellare, i pensieri planano sulla terra dei fogli e cominciano ad abitarla tutta, spargendosi ovunque. Lo scrittore lascia il segno (ma non lo abbandona mai), il lettore lo raccoglie ed è questa forma di raccoglimento, di meditazione, di concentramento che il libro cerca di contenere, incontenibile, indicibile, impossibile, impassibile, inaudito e inudibile. Sembriamo un popolo sotto dettatura, ma la scrittura è libera e ti libera scavando in alto: speleologia d’altura, appunti di sutura, memoria futura, altra andatura, gran dismisura, tra sacro e propano, propellenza e immanenza. È “nergia” pura, fuoco per la benzina, mano per la penna dell’ala di un’idea bendata e la fortuna può non c’entrare affatto. Per questo c’è gente che parla con i libri, c’è gente che parla come un libro stampato e chi come un libro strappato; c’è chi li presta solo se muore quello a cui lo presta, che nel testamento ha scritto che a lui ritorni, c’è chi li annusa prima di buttarli, c’è chi li legge soltanto toccandoli con il sistema “Librail”, chi dimentica di leggerli, c’è chi sa il titolo ma non l’autore, chi conosce l’autore ma non lo stima, chi lo stima perché non scrive più libri, c’è chi scrive un libro perché c’è scritto nel contratto, chi lo scrive per dedicarlo alla madre di chi ha preparato il contratto... Non c’è limite alla sopravvivenza del libro, all’indecenza dello scrivere, all’incandescenza della materia che tratta e al suo ennesimo evocare ed invocare, all’impellenza del poter, voler e dover leggere, alla potenza frustrante di non riuscire né a leggerlo né a scriverlo (forse solo a sottolinearlo). E c’è anche l’attesa dell’autore di morire: per far capire ciò che da vivi avrebbe un altro significato, un diverso valore, un altro senso, e questa non so se sia giustizia o parità, se sia forza o debolezza, se sia un bene o un peccato, e si possa confessare. Comunque tutte queste cose il libro non le deve sapere, altrimenti brucia, d’invidia per l’uomo che lo crea o lo distrugge, potendo fare poco, lui, nelle sua “rileganza”, nella sua postazione “scaffala”, di costa o impilato, sparso tra l’ovunque e un comodino (ah, se i comodini potessero parlare: quante storie d’ogni genere hanno sentito e sopportato, ben diverse da quelle scritte nel libro, ben migliori, ben peggiori. Quanti gialli, quanta fantascienza, quanta letteratura erotica, quanti horror, quante favole, quante risa, quanti segreti...). Vorrei imparare ad ascoltare i comodini, a leggere il labiale di quello che si dicono coi libri lì appoggiativisi. Vorrei cominciare una nuova vita senza librerie, pubbliche o private, senza suddivisioni di genere o ordini alfabetici, vorrei che il libro stesse e andasse dove vuole, facesse la sua vita e alle volte fosse anche la mia, per puro caso. Ma siccome il caso non esiste, lascio loro far di me ciò che vogliono, in silenzio, perennemente sotto i miei occhi anche se non li guardo, come del resto vivono da sempre. Prescindendo da noi, uomini lib(e)ri.

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