martedì 25 ottobre 2022
Due giorni di convegno nella città natale dello scrittore siciliano indagano i suoi rapporti con PPP
Pier Paolo Pasolini con Leonardo Sciascia

Pier Paolo Pasolini con Leonardo Sciascia - Fondazione Leonardo Sciascia Racalmuto

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A Leonardo Sciascia non piacque per niente Salò e le 100 giornate di Sodoma. Lo giudicava un film irricevibile per la sua crudeltà e la sua violenza, raccontando di aver «sofferto maledettamente, durante la proiezione». Però, di lì a poco, era infatti il 1975, avrebbe pianto per la morte di Pier Paolo Pasolini, addolorato anche per non avergli saputo esprimere a suo tempo sentimenti umani e di solidarietà nei giorni più difficili vissuti dall’amico a cui lo scrittore siciliano si sentiva particolarmente legato: era convinto di aver «pensato le stesse cose, dette le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose ». In effetti il sodalizio fra i due fu intenso e duraturo tanto che la Fondazione Leonardo Sciascia ha pensato di approfondirlo con due giornate di studio a Racalmuto, il paese in provincia di Agrigento dove Sciascia è nato l’8 gennaio 1921, ha vissuto e dove tutto parla di lui: la statua al centro del corso, la strada a lui intitolata, la casa dell’infanzia, la scuola dove fu alunno e poi maestro elementare, la tomba nel cimitero alle porte del paese. Persino le stanze dell’albergo Regalpetra non sono indicate con i numeri, ma con i nomi dei personaggi dei suoi romanzi. Del resto il legame con Racalmuto era fortissimo. Anche questo è testimoniato a ogni piè sospinto attraversando strade dove sono fitte le lapidi con le sue parole sul luogo nativo: « Il migliore osservatorio delle cose siciliane continua ad essere per me il paese in cui sono nato e in cui anche se spesso ne sono lontano, effettualmente vivo». In questo senso, il luogo che più di altri rende oggi Sciascia “vivo” è la sede della Fondazione che porta il suo nome e che ha trasformato la struttura di una centrale elettrica in un affermato centro culturale con i libri dello scrittore, gli oggetti, le foto e una grande pinacoteca attrezzata per ospitare convegni letterari e scientifici tra cui, appunto, quello del 22 e 23 ottobre dedicato a Sciascia e Pasolini, in occasione dei rispettivi centenari della nascita (1921 e 1922), che gli organizzatori hanno voluto allargare in prospettiva agli scrittori della generazione del primo quinquennio degli anni Venti del secolo scorso: da Italo Calvino a Mario Pomilio, da Danilo Dolci a Goliarda Sapienza, da Cristina Campo a don Lorenzo Milani. Una generazione che il direttore scientifico della Fondazione, l’italianista Antonio Di Grado, ha definito «divisa» per due motivi. Innanzitutto «perché a loro si offriva, già pronta e acquisita, una lezione impartita da esperienzespartiacque come la Resistenza» da cui hanno ricavato una «più netta e sicura coscienza, apprendendo che non esiste progresso civile che non nasca da un conflitto, da laceranti divisioni, che il rituale democratico s’incaricherà di trasformare in leale, ma serrata opposizione di schieramenti e di idee». Una generazione divisa, spiega ancora Di Grado, anche «tra una dedizione iniziatica alla letteratura e alle arti e il richiamo della politica, della militanza attiva e del contribuito teorico». E furono, come vuole il titolo del convegno, anche “Cent’anni di solitudine”, «anni di sofferta, ma laboriosa e feconda solitudine, di pensiero critico e arditezze espressive maturati in un laboratorio animato da operosità e genialità mai più viste da allora». In quanto a Sciascia e Pasolini nello specifico è stato Fernando Gioviale, storico dello spettacolo e della letteratura, a parlare di un’irripetibile esperienza di due grandi eretici, capaci di «diverso parere». Sciascia accettò la definizione di eretico. Pasolini eretico lo era tra comportamenti e pronunciamenti. Nei due scrittori, a giudizio di Gioviale, si è incarnata per l’ultima volta la figura dell’eretico civile, anche se alla fine, per motivi di carattere e di appartenenza, erano «fraterni e lontani». La relazione di Gioviale (a cui tra le altre è seguita un’originale analisi di don Milani dal punto di vista letterario a cura del linguista Sebastiano Vecchio) ha introdotto di fatto anche la mostra «Sciascia e Pasolini tra i documenti in archivio», a cura di Edith Cutaia e Vito Catalano, in cui presso i locali della Fondazione sono esposti (lo rimarranno fino al prossimo febbraio) gli articoli di Sciascia su Pasolini e di Pasolini su Sciascia e le lettere di Pasolini ricevute da Sciascia. Esposti anche altri documenti che legano i due scrittori: lettere di Vincenzo Cerami, di Enzo Siciliano, di Nico Naldini e dello stesso Sciascia; i primi fogli del dattiloscritto L’affaire Moro; il libro Il fiore della poesia romanesca, del 1952, curato da Sciascia con premessa di Pasolini, e il libro Dal Diario di Pasolini con introduzione di Sciascia (tutti e due i volumi furono pubblicati dalle edizioni Salvatore Sciascia di Caltanissetta). Insomma, attraverso le carte d’archivio si può osservare, da una delle tante possibili angolazioni, il rapporto intenso che legò due fra i più grandi scrittori italiani del Novecento. «È aumentata ancora, ed era già molta, la simpatia che avevo per te, fino a un vero, forte e commosso senso di fraternità », scrive Pasolini a Sciascia il 31 marzo 1956 dopo essersi complimentato per l’uscita di Le parrocchie di Regalpetra. Un legame, come si è visto, più letterario che cinematografico, oltre che umano, anche se Sciascia ebbe col cinema un rapporto molto forte, al punto da subirne l’influenza. Lo testimonia la sua scrittura, il suo modo di «montare» il racconto. Vedeva di tutto e annotava le impressioni su un taccuino. Aveva anche scritto un soggetto per Sergio Leone, mentre al tempo stesso i suoi libri diventavano oggetto di tanti adattamenti per il grande schermo. Tra questi disapprovava solo la versione di Elio Petri di Todo modo, considerata troppo grottesca. Sciascia, tra l’altro, amava il cinema classico. Non a caso l’ultimo film visto risulta Nuovo cinema Paradiso del conterraneo Giuseppe Tornatore, nel 1988. Lo scrittore sarebbe morto l’anno dopo a Palermo, il 20 novembre 1989. Di Sciascia e il cinema ha di fatto parlato anche il nipote Fabrizio Catalano, regista e sceneggiatore, raccontando, in chiusura di convegno, di Damiano Damiani (« Perfetto paradigma del cinema di quegli anni») a partire dalla trasposizione cinematografia nel 1968 di una delle opere più conosciute del nonno: Il giorno della civetta.

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