domenica 7 giugno 2020
Parla il poeta Premio Pulitzer, protagonista dell'ecopoetry: «L'ecologia è tema della poesia già da ’800 e ’900. Pascoli era ecologico così come Montale. Oggi è intrisa di senso d’allarme»
Il poeta americano Robert Hass

Il poeta americano Robert Hass - Steve Rhodes/Flickr/CCby2.0

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Robert L. Hass è tra i letterati più rappresentativi d’America. Californiano classe ’41, poeta laureato dal 1995 al 1997, Premio Pulitzer nel 2008 (per la silloge Time and Materials, vincitrice anche del National Book Award), è professor in Poetry and poetics a Berkeley. La natura delle sue liriche è ibrida e cangiante: argillosi laterizi di prosa inframmezzano l’andamento dei versi, per lo più limpido, legato a tematiche filosofiche, politiche, ambientali e avvitato su una robusta impalcatura etica («Se l’orrore del mondo fosse la verità del mondo, / aveva detto, non ci sarebbe nessuno a raccontarlo / e nessuno a cui raccontarlo», Oscurità acida e alata, traduzione di Damiano Abeni).

Strenuo difensore dell’ecoliteracy, Hass si contraddistingue per un timbro virtuosistico nelle soluzioni formali, venato di sottile e soffuso umorismo e di inesausto vigore nell’estrinsecarsi dei motivi paesaggistici, ispiratori di una visione delle cose che riconosce nella bellezza il valore più alto dell’esperienza umana.

Hass è uno dei sei autori (assieme a Tracy K. Smith, Natalie Diaz e altri) inclusi nel primo volume della Nuova poesia americana (a cura di John Freeman e Damiano Abeni, Edizioni Black Coffee, pagine 182, euro 13), ambizioso progetto che prova a circoscrivere la complessa situazione poetica statunitense.

Professore, Summer snow è il suo ultimo lavoro.

«Sì, è stato pubblicato pochi mesi fa. Riunisce poesie scritte nel corso di un decennio [l’ultima silloge, The Apple Trees at Olema, è del 2010, ndr]. È un libro abbastanza variegato sotto il profilo stilistico: ci sono molte tipologie differenti di liriche e di metri. Diversi sono anche i soggetti: sogni, morte, natura, i miei paesaggi nel nord della California, il modo in cui viviamo, le persone, l’immaginazione. E un paio di testi sono omaggi a Eugenio Montale».

Forrest Gander ha detto che la sua poesia è «musicale, descrittiva e meditativa ». C’è anche una presenza metafisica nei suoi versi?

«Non so cosa intenda esattamente per "metafisica", quindi ho cercato la parola in un dizionario; il dizionario dice, utilmente o meno, che la metafisica "riguarda l’esistenza e la natura delle cose che esistono". In questo caso, tutte le mie poesie sono metafisiche».

Czeslaw Milosz. Cosa le dice questo nome?

«Czeslaw era il mio vicino di casa lungo le colline di Berkeley e abbiamo lavorato insieme alla traduzione delle sue poesie per più di venti anni. Tradurre i suoi testi, scritti tra il 1930 e i primi anni Duemila, è stato come rivivere il Ventesimo secolo. Ed era un caro amico e mi manca».

È vero che è stato influenzato dalla poesia beat?

«Inizialmente sì. Sono cresciuto a San Francisco e dintorni. Frequentavo le superiori durante l’era beat e ho avvertito l’eccitazione per la poesia, la musica e il cambiamento culturale. Mi sono formato culturalmente e letterariamente nella libreria City Lights di Lawrence Ferlinghetti, a North Beach, il quartiere italiano della città. Sono rimasto colpito dai ritmi delle liriche di Allen Ginsberg, dalla loro immediatezza, ma ancor più in profondità sono stato segnato dall’opera di Gary Snyder, dal suo spiritualismo, dal suo pensiero ecologico».

Infatti, lei è noto per l’adesione all’ecopoetry e per il suo impegno politico.

«Riguardo all’ecopoetry, il termine ha indotto poeti e critici americani a discutere su come si potesse definirla correttamente. Essa sembra indicare una poesia con un’idea soggettuale della natura e con un senso di crisi ambientale che la informa. Torniamo alla metafisica. Ossia, cosa dobbiamo sapere riguardo al mondo naturale per rimpiangere l’estinzione delle specie – tigri, balene, uccelli canori, scarabei – creature che sono state sulla terra molto più a lungo degli esseri umani e che si stanno estinguendo perché l’uomo sta distruggendo gli habitat in cui essi si sono evoluti. Parecchie persone, non solo i poeti, soffrono per questa situazione e cercano di portare avanti un progetto serio attraverso il quale sia possibile uscirne. Quindi, il tema si presenta in letteratura con un elevato codice di allarme. Ma non è difficile sostenere che sia presente nella maggior parte della poesia mondiale almeno dal XIX secolo. Si potrebbe sottolineare quanto Pascoli fosse un poeta ecologico, che L’anguilla di Montale sia una delle grandi poesie ecologiche. Riguardo all’impegno politico. Sono cresciuto in zone in cui erano fortemente attivi il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti e la contestazione alla guerra del Vietnam. Penso che la maggior parte degli scrittori della mia generazione abbia avuto l’impressione che una qualche forma di impegno politico fosse parte dell’essere cittadino del luogo in cui si vive. La prima responsabilità di un autore, come ha detto il poeta Robert Duncan, è mantenere la capacità di rispondere. In alcuni artisti essa assumerà un aspetto esplicitamente politico, in altri no».

Crede che il pianeta sia in pericolo dal punto di vista ambientale?

«Il pianeta minerale non lo è. Esiste al di là dei termini di una fisica che lo crei o che lo estingua. Ma la vita sul pianeta è in pericolo, molte forme di vita lo sono. Le condizioni normali sono di origine biologica: iniziano e finiscono nell’abbondanza e nella varietà genetica, ma tale ricchezza è sottoposta a terribili stress dall’inesorabilità dell’attività umana e dalla mentalità che produce quella inesorabilità. È possibile che, su questo punto, la poesia abbia qualcosa da dire».

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