sabato 29 novembre 2014
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​Il caso di Camilla Ravera, arrestata dalla polizia fascista nel luglio 1930 appena dopo essere giunta in Italia per ricostituire e dirigere il Centro interno del partito, è emblematico dei misteri che circondano le vicende del Pci per la collaborazione con l’Ovra fascista. Una cooperazione occulta che aveva un solo fine: estirpare la corrente dissidente dei seguaci di Amadeo Bordiga e, più in generale, eliminare tutti coloro che si erano mostrati tiepidi verso la svolta staliniana imposta da Togliatti nel 1930.La piemontese Ravera, classe 1889, gramsciana di ferro, sospettò sempre – senza peraltro mai denunciarlo pubblicamente – di essere stata consegnata alla polizia di Mussolini per volontà di Togliatti. Eppure le cose stavano così, se si leggono in filigrana gli eventi. Nell’agosto 1927 il Migliore, durante una riunione dell’Ufficio politico, fece a pezzi tutto il lavoro compiuto dalla Ravera dopo che il partito entrò in clandestinità, verso la fine dell’anno precedente. A quel tempo, cioè nel novembre 1926, Gramsci, dopo essere entrato in collisione con Togliatti per aver stigmatizzato gli eccessi di Stalin in una lettera ai compagni russi, cadde nelle mani della polizia fascista.La critica sommaria di Ercoli ferì profondamente la Ravera, che cercò di difendersi. Bisogna considerare i costumi del mondo comunista: essere attaccati frontalmente in un organo di direzione politica dal leader, all’epoca dello stalinismo significava cadere in disgrazia, e dunque finire classificati come elemento nocivo per l’organizzazione. Sta di fatto che la Ravera venne mandata al macello in Italia nel 1930; e attorno alla sua cattura sono sorti moltissimi interrogativi che non hanno trovato finora risposte soddisfacenti. Ciò che è sicuro invece è che la Ravera, condannata a 15 anni di carcere e declassata al rango di dirigente di seconda fila, non venne mai più riabilitata e anche nel dopoguerra restò ai margini. Del resto aveva offerto una nuova manifestazione d’indisciplina nel 1939, quando era stata espulsa dal partito per aver criticato lo scellerato patto Ribbentrop-Molotov. Nel 1958 non venne neppure più ricandidata al Parlamento: solo la nomina a senatrice a vita, da parte del presidente Pertini nel 1982, la riportò sulla scena pubblica.Il caso Ravera ci introduce al vero nodo della collusione tra Pci e Ovra. Si tratta del ruolo che l’apparato speciale di controspionaggio del partito ebbe nell’offrire un apporto informativo agli organi repressivi dello Stato fascista. L’Ufficio tecnico – questo il nome di copertura del servizio di controspionaggio del Partito comunista – si occupava delle attività illegali di un’organizzazione che, alla fine del 1926, entrò nella piena clandestinità. Pietro Tresso «Blasco», responsabile dell’Ufficio tecnico, espulso dal Pci nel giugno 1930 si trasformò nel più spietato accusatore di Togliatti. Dalle colonne di un settimanale trotzkista, La Vérité, che si pubblicava a Parigi, Tresso tuonava contro il gruppo dirigente del suo ex partito. Al centro delle denunce, che impressionano tuttora, vi erano gli «untori» che agivano su direttive del Centro estero (guidato da Togliatti) per consegnare ai questurini la minoranza bordighiana.Chi erano gli «untori»? Una serie di «uomini invisibili» che sono rimasti avvolti in un cono d’ombra per l’opera di criminalità politica che hanno compiuto, contribuendo in modo decisivo alla decimazione della classe dirigente rimasta contraria o estranea alla svolta del 1930. Uno dei personaggi cui alludiamo emerge per la prima volta dalla nebbia. Si tratta di certo «Sprea» o «Spreafico», al centro delle denunce di Tresso. Il suo vero nome era Luigi Beltrametti, citato in alcuni documenti con il nome di battesimo di Giuseppe. Tipografo, nato a Stradella nel 1897, era a disposizione permanente del Centro estero di Parigi per il lavoro riservato, tanto da essere stralciato dalle sue posizioni processuali al Tribunale Speciale in quanto latitante.
Ecco la micidiale requisitoria di Tresso, su La Vérité del 24 marzo 1933: «Io posi la questione Sprea nell’Ufficio politico e nella segreteria tre volte. La prima nel 1927, quando, sulla base delle informazioni dei compagni dell’Ufficio speciale che lavoravano a Milano, Sprea era "sparito" senza fornire una giustificazione plausibile. Da quel momento, proposi di espellerlo dall’apparato per misura precauzionale. Posi per la seconda volta la questione nel 1928, quando, contrariamente alle decisioni dell’Ufficio politico, si seppe che Sprea, espulso come elemento sul quale sussistevano punti oscuri, era stato promosso a compiti di direzione dentro i gruppi di lingua (italiana) della regione parigina, e quando ebbi modo di udire, dalla bocca stessa di Sprea, che egli era ancora in rapporti con Vitrotto, personaggio sul quale il partito nutriva dei dubbi da parecchi anni. Posi una terza volta la questione Sprea nel mese di maggio 1929, quando seppi che Sprea, invece di essere rimesso alla base del partito, come per la seconda volta aveva deciso l’Ufficio politico, era salito ancora più in alto in seno alla regione parigina (del partito). L’Ufficio politico e la segreteria presero per la terza volta la decisione di ricondurre Sprea alla base, ma per la terza volta Sprea, invece di scendere, salì ancora più in alto».Chi poteva aver difeso così strenuamente Beltrametti, contro gli stessi deliberati degli organi direttivi collegiali del Pci, che chiedevano invece di metterlo in quarantena ponendolo nelle condizioni di non più nuocere? Solo Togliatti avrebbe avuto la forza di poterlo fare. Di fronte alle accuse dirompenti e circostanziate di Tresso, circa il fatto che la vita interna del partito era messa a repentaglio da «agenti speciali» come Sprea, istruiti a compiere missioni in Italia, allo scopo di agevolare il lavoro della polizia fascista, che cosa poteva accadere? Nulla, in un partito dove non si poteva più discutere ma solo obbedire.Continua infatti «Blasco»: «Nel 1930, La Vérité ha fatto pubblicamente il nome di Sprea e ha denunciato il fatto incredibile che non soltanto egli non era stato "rimesso alla base", ma che lo si era issato alla direzione della regione parigina da dove egli, naturalmente, tuonava contro i "trotzkisti". Fu soltanto nel dicembre 1930 che Sprea venne rimosso dalla segreteria della regione parigina, ma non a causa "della sua leggerezza e dei suoi punti oscuri", ma perché sospettato di "trotzkismo"! Sprea poteva benissimo essere stato un agente dell’Ovra, e nessuno l’avrebbe disturbato per quello, ma dal momento che era sospettato di "trotzkismo", la famiglia Ercoli non ha più esitato un istante!».Ma l’accusa più grave che l’ex dirigente espulso dal partito scaglia contro Togliatti è di ricorrere al maglio dell’Ovra a scopo di lotta politica: «Uno ha veramente motivo di domandarsi se l’Ovra non abbia conquistato tutto l’apparato staliniano», scrive il 4 aprile 1933. Poi rincara la dose, e racconta un episodio agghiacciante, di cui è stato testimone. Quando nel Pci si ebbe cognizione dell’azione delatoria a danno dei compagni svolta dal comunista partenopeo Ugo Girone dopo l’arresto avvenuto nel ’28, fu deciso dall’Ufficio politico di inviare lo stesso Tresso dai capi bordighiani per metterli in guarda dal pericolo che correvano. La decisione venne assunta in assenza di Togliatti. Quando questi tornò, racconta sempre Tresso, «s’infuriò al punto da affermare tra l’altro che "per lottare contro la sinistra noi dobbiamo utilizzare anche la polizia". Basta riferire queste parole per comprendere con chi abbiamo a che fare!».
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