lunedì 26 dicembre 2011
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Spaccanapoli. Le luci del Natale brillano nel cuore storico di quella creatura turbolenta e sublime, adagiata sul Vesuvio. Napoli è una città che è stanca di sentirsi additata come l’immondezzaio in cui affonda lo Stivale, o peggio ancora come la gomorra nazionale. C’è una Napoli sotterranea che non è solo uno scrigno prezioso d’archeologia, ma quella dei giovani sani e dei tanti "cani sciolti" che, da via dei Tribunali fino alle periferie dimenticate di questo Paese, quotidianamente si impegnano, con coraggio, affinché le cose possano finalmente cambiare. C’è chi sogna una Napoli diversa e lo fa con l’arte e la creatività come i fratelli "Scuo8" (leggasi Scuotto) che tra una Deposizione di Pulcinella e uno Scartellato, simbolicamente prendono il calco delle mani alle persone che «hanno voglia di mettere le mani per la città». Nella sua libreria di Piazza Dante, l’editore-pugile Tullio Pironti è convinto che «oltre alla cultura, qui sarà lo sport a salvare la vita ai nostri giovani...». È la verità, che balza agli occhi a San Gregorio Armeno, davanti ai presepi che incantano i bambini, come Serena 6 anni e Braiz 8: i più piccoli della nidiata di casa Maddaloni. I fratellini di Pino, medaglia d’oro di judo a Sydney 2000, ma soprattutto i figli di Gianni Maddaloni, storico allenatore e "papà coraggio" di Scampia. Un faraglione di uomo che da ex scugnizzo verace del Rione San Gaetano, tiene nelle vene tutta la tradizione, ma è costantemente proiettato verso il futuro e il rinnovamento di Napoli. Un futuro che è impastato di bellezza, «quella della meglio gioventù partenopea», e dell’orrenda realtà periferica «fatta di costruzioni venute su barbaramente e soprattutto prive di servizi per la comunità». Da sei anni a Scampia, Maddaloni con la sua palestra, a due passi dalle fameliche Vele savianesche, ha portato un servizio fondamentale: l’attività sportiva. «Qui vivono 100mila persone e sono 1.200 quelle che frequentano la nostra struttura polifunzionale che è diventata un avamposto sociale». È un maestro Manzi del terzo millennio quest’uomo dalle spalle d’acciaio, ma dal cuore tenero. Con gli altri figli, Laura e Marco («che si allena con suo fratello Pino, a Roma con la Nazionale») pur tra mille difficoltà porta avanti, «pagando quasi sempre di tasca mia», una miriade di progetti per quelli che sono tutti i suoi ragazzi. «Il nostro è un cammino di recupero e non a caso l’ho chiamato "Percorso Maddaloni". Il primo obiettivo è stato togliere mediante lo sport e il judo, che è una disciplina fondamentale nell’insegnamento delle regole, la "manovalanza" alla camorra. Oggi abbiamo otto ragazzi in messa alla prova che arrivano dalle carceri minorili campane». Il "Percorso" si dipana fino all’Istituo di Airola (Benevento) e ritorna in città, per seguire da vicino il recupero dei giovani detenuti nel Centro Prima Accoglienza e tribunale minorile di Colli Aminei. «Ma per recuperare i ragazzi serve lavorare sul tessuto famigliare. L’85% delle mamme e i papà che portano il figlio a fare judo, possono svolgere gratuitamente attività in palestra (pesi, fitness). Tutto serve per stare insieme, fare gruppo e per proteggerli da due mali estremi con i quali dobbiamo fare i conti: uno Stato assente e una malavita che ci tiene costantemente sotto scacco». È l’unico momento in cui "papà Gianni" si fa scuro in volto e avverte la paura, quella di non riuscire nella sua missione. «Posso dire che sono state più le vittorie che le sconfitte nel nostro "Percorso", ma ho pianto ogni volta che ho creduto di aver strappato un ragazzo dai tentacoli della mala che invece poi se lo è ripreso...». Maddaloni ricorda con più piacere le lacrime di gioia per Michele Riccio, un ragazzo diversamente abile diventato cintura nera di judo. «Con i disabili abbiamo cominciato a lavorare una decina di anni fa, grazie all’incontro con una donna speciale, Maria Chiara Cesaro, promotrice del "Progetto Sole". Due anni finanziati dalla Asl, poi il programma venne sospeso, ma cinque ragazzi che ne facevano parte mi hanno seguito e sono cresciuti qui, in palestra». Uno di questi è Giuseppe Musella, sordomuto, cintura marrone, viene dalla Vela rossa, noto centro di spaccio, «ma Giuseppe - rassicura Maddaloni - al mattino lavora in un bar e la sera si allena con noi». Viene dal Vomero, dal Martusciello, l’Istituto per non vedenti, Giovanni Guzzo, due lauree e ora a caccia della terza: una medaglia alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016. «È un sogno? - dice lui -. Beh, chi non ha mai smesso di sognare ha già vinto». Un filosofo Giovanni, uno dei tanti che Maddaloni "raccatta" per la strada, la prima palestra di vita per centinaia dei suoi scugnizzi. «Non a caso, un altro progetto educativo lo abbiamo chiamato "Prendiamoli da piccoli". Dall’asilo alle medie superiori, inculchiamo alle nuove generazioni la conoscenza, il riconoscimento del valore della persona, il senso profondo dell’accoglienza per chi è straniero e arriva da noi perché è scappato dalla guerra e dalla miseria del suo paese». Come Mahamaoud Konè, arrivato dal Mali e ora uno dei migliori talenti della sua "Star Judo". Mahamaoud dà anche una mano in palestra, dove il sogno del suo allenatore è quello di poter far lavorare il maggior numero di ragazzi. «Fare sport e offrire una possibilità di lavoro a un disabile, a un minore problematico o a un exracomunitario, vuol dire recuperare e inserire completamente nel tessuto sociale quel ragazzo. Ma per incrementare il numero delle persone occupate, occorre ampliare la palestra e quindi avere a disposizione delle risorse economiche che invece per noi non si trovano mai... Solo di bolletta Enel spendiamo mille euro al mese e senza uno sponsor unico, quanto generoso, come Trincar - autodemolitore di Qualiano Villa Ricca - qui resteremmo al buio…». Da New York però è appena arrivata una busta: un bonifico per i ragazzi della palestra di Scampia: "Firmato: la signora Anna, una napoletana di New York". Un regalo di Natale inatteso e che illumina di speranza lo sguardo di Maddaloni, un uomo spesso solo che è caduto al tappeto del tatami tante volte, ma che si è sempre rialzato. «Quando a volte ti accorgi che nonostante tutto quello che fai dai fastidio, allora ti viene voglia di mollare. Ma poi vedo il sorriso e la gioia di questi figli di Scampia, Miano, Piscinola, Secondigliano, Chiaiano, Marianella, e potrei continuare all’infinito, e capisci che non puoi abbandonarli a un destino che li condurrebbe sicuramente in fondo un vicolo cieco. Per l’anno che verrà chiedo al sindaco Gianni De Magistris di venire a passare una giornata da noi e visto il fisico massiccio che si ritrova di allenarsi con i miei ragazzi. Il regalo più bello di Natale? Svegliarmi e trovare 10mila persone di Scampia iscritte alla palestra. Più siamo e meglio staremo, tutti...». Nella notte di Natale l’ultimo pensiero va all’Annunciazione esilarante della "Smorfia" e a quel genio indimenticabile della napoletanità, Massimo Troisi, che prima di Maddaloni espresse il concetto: «Sono nato in una casa con 17 persone. Ecco perché ho questo senso della comunità. E quando ci sono meno di 15 persone, mi sento solo…». Buon Natale Napoli.
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