mercoledì 24 novembre 2021
In un momento in cui torna a soffiare il vento dell’odio, il fondatore di Gariwo propone di rilanciare lo spirito della Convenzione Onu contro i genocidi come impegno morale
L’orfano Thomas tra le croci del cimitero che raccoglie le vittime del genocidio in Ruanda

L’orfano Thomas tra le croci del cimitero che raccoglie le vittime del genocidio in Ruanda - Livio Senigalliesi

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Si è svolta ieri al Teatro Parenti di Milano l’annuale conferenza di Gariwo, il giardino dei Giusti su “Prevenire i genocidi con l’esempio dei Giusti”. Hanno partecipato, fra gli altri, Liliana Segre, Piero Fassino, Gabriele Nissim, Francesco M. Cataluccio e Konstanty Gebert, giornalista e scrittore ebreo-polacco, tra i leader di Solidarnosc, Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah e delegato Ucei. Per l’occasione, come anche dalle pagine di “Avvenire”, Gabriele Nissim ha ricordato l’importanza della Convenzione dell’Onu contro i genocidi e l’urgenza di una più vasta sensibilizzazione culturale contro ogni forma di odio.

Viviamo in un mondo pericoloso che ci spinge a ripensare la sfida di Gariwo e il ruolo dei giardini dei giusti nella società. Siamo chiamati a una grande responsabilità. Fare dei giardini il supporto morale e culturale della Convenzione delle Nazioni contro i genocidi. Ci sono brutti segnali nel mondo. A Kalisz in Polonia, dove il re Boleslaw nel 1264 promulgò un codice di accoglienza per gli ebrei, si è svolta una manifestazione in cui c’erano slogan che facevano degli ebrei il nemico insieme a tutte le diversità che inquinerebbero la Polonia: «Signori poliziotti, fate che la vostra mano non tradisca. Fateci un favore, manganellate i nostri nemici: migranti, lgbt, pederasti, sionisti, che sono nemici della Polonia. Fuori dal nostro Paese. Andatevene a Bruxelles». In Afghanistan le bambine non possono più andare a scuola e le donne possono muoversi per la strada solo accompagnate da uomini che le portano al guinzaglio. A Mosca ci sarà domani una riunione delle Corte suprema della Federazione russa che chiederà di mettere fuori legge Memorial, l’organizzazione che dai tempi di Gorbaciov ha documentato le vittime dei gulag. Tra le colpe che le vengono imputate c’è quella di inquinare lo spirito della gioventù. È come se qualcuno in Italia dicesse che Primo Levi va censurato, perché farebbe male all’educazione dei ragazzi nella scuola. In Nagorno Karabakh ancora una volta il popolo armeno è stato umiliato nell’indifferenza generale. La Cina minaccia di invadere Taiwan e credo che il mondo assisterà passivamente a queste minacce come è successo a Budapest nel 1956. Un genocidio culturale è in atto in Cina contro gli Uiguri, rinchiusi nei campi di rieducazione e di concentramento. La censura totalitaria impedisce in Cina qualsiasi possibilità di documentazione e di informazione. La moglie di Liu- Xia Bo, Nobel per la pace, ci ha confessato che le hanno sequestrato il corpo del marito che non ha avuto sepoltura, proprio come era capitato al fratello di Antigone. La Bielorussia usa i migranti come munizioni contro la Polonia e l’Europa. Si usano poveri corpi come arma di guerra, così si distrugge anche la pietas verso i migranti lasciati morire alle frontiere nell’indifferenza del mondo e dell’Europa stessa. Tutto questo ci fa pensare che il male estremo ci minaccia in continuazione e, come aveva suggerito Primo Levi, Auschwitz è sempre immanente e non finisce mai perché è una possibilità degli esseri umani. Ce lo ricorda Liliana Segre, attaccata a 91 anni come ebrea e sopravvissuta perché prende posizione per l’accoglienza, perché denuncia l’odio nelle parole e nei social, perché invita a vaccinarsi. Ecco perché dobbiamo sempre raccontare al mondo le 'forze della notte', come scriveva il filosofo di Charta 77 Jan Patocka. Tacere e rimuovere significa nascondere la verità, come vorrebbero i negazionisti. Ma non basta denunciare il male, dobbiamo operare affinché la prevenzione dei genocidi diventi il nostro imperativo morale. 'Non commettere genocidio' deve diventare come immaginava Lemkin il nuovo comandamento morale dell’umanità. Come possiamo farlo? Dobbiamo immaginare e progettare i giardini dei giusti come uno strumento culturale per la promozione della Convenzione dell’Onu votata nel 1947 che impegna il mondo dopo la Shoah a impedire e a punire ogni atrocità di massa commessa sia in tempo di pace, sia in tempo di guerra. I giusti sono gli individui che si assumono una responsabilità contro il male estremo. Per questo possiamo immaginare la 'mission' dei giardini con uno slogan che sarà alla base del nostro lavoro e della nostra fondazione: save the umanity . Insegnare che in ogni circostanza ogni individuo ha sempre la possibilità di salvare l’umanità e di comportarsi come insegnava Marco Aurelio, esercitando il mestiere di uomo. È questo l’orizzonte morale dei Giardini, che vogliamo costruire in ogni parte del mondo affinché la Convenzione diventi un documento vivo nella società civile, nell’opinione pubblica. Vorremmo che questa missione vedesse al centro la città di Milano, il nostro Paese, il nostro Parlamento, le comunità ebraiche e armene, l’Unione Europea. Come è nata la parola genocidio e la stessa idea di prevenzione? Lo dobbiamo a Raphael Lemkin, un giurista polacco il quale da ragazzino a dodici ani anni fu colpito profondamente dalla lettura di Quo Vadis dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz che raccontava le stragi dei cristiani mandati a morire da Nerone nell’arena. Rilesse il libro diverse volte e da ragazzino fece un’osservazione per nulla ingenua. «Se qualcuno di quei cristiani condannati a morte nell’indifferenza generale, per la sola ragione di credere in Cristo, si fosse per caso rivolto a un 'poliziotto' dell’epoca per chiedere aiuto non avrebbe mai ricevuto protezione». E poi Lemkin si fece nuove domande. Perché il giovane armeno Telhiran è stato costretto a farsi giustizia da solo a Berlino nel 1920 , quando uccise Taalat Pasha il ministro dell’Interno turco, massacratore degli armeni, mentre la comunità internazionale rimaneva passiva? E perché a Parigi nel 1926 Shalom Schwarzbard, un sarto ebreo i cui genitori erano morti in un pogrom in Ucraina, emulò il gesto di Tehliran e uccise il ministro ucraino della guerra, Symon Petliura, che era stato personalmente incolpato per quei massacri? Lemkin dopo avere letto il Mein Kampf si adoperò perché alla conferenza di Madrid fosse approvata una legge internazionale che punisse la barbarie e il vandalismo, che anticipavano il concetto di genocidio che formulò durante l’invasione della Polonia nel 1939. Purtroppo allora non venne ascoltato. Dopo una fuga avventurosa che lo portò prima in Lituania, poi in Svezia, in Russia e finalmente negli Stati Uniti cercò invano di convincere il presidente americano a fare della seconda guerra mondiale una mobilitazione internazionale per impedire il genocidio degli ebrei. Così, dopo la guerra, Lemkin ebbe alcune importanti intuizioni. Riscattare le vittime dello sterminio degli ebrei si poteva farlo solo guardando al futuro e creando una legge internazionale che mettesse al bando i genocidi. La riparazione del più terribile dei lutti era solo possibile guardando in avanti e spingendo il mondo in una nuova direzione. Per questo progetto bisognava unire tutta l’umanità: chi fa il male agli altri, come aveva sostenuto Socrate, fa il male a se stesso come uomo. Bisognava che tutti si rendessero conto che se in un orchestra viene a mancare uno strumento è tutta la musica che perde delle note. Come lo sterminio degli ebrei aveva colpito tutti, così il male fatto alle altre minoranze colpisce gli ebrei. Ogni odio che crea i semi della discriminazione e della possibile distruzione fa del male a tutti. Antigone, quando aveva chiesto la sepoltura di suo fratello Polinice, aveva fatto appello a una legge superiore «non scritta dagli dei»; Lemkin, invece, aveva immaginato che qualsiasi minoranza etnica, po-litica, culturale quando si sentiva minacciata ed era in pericolo poteva contare su un diritto e su una autorità sovrannazionale che ne garantisse la protezione e la dignità. Il comandamento 'non commettere un genocidio' doveva essere al disopra di qualsiasi legislazione nazionale. Fu questo il pensiero che guidò Lemkin nella sua straordinaria operazione diplomatica che lo portò a convincere la maggioranza degli Stati del mondo a sottoscrivere nel 1948 la Convenzione per la repressione e la prevenzione dei genocidi. Siamo consapevoli come dalla fine della guerra a oggi i princìpi di questa Convenzione siano stati tante volte disattesi per gli interessi delle superpotenze che nonostante Auschwitz sono rimaste passive se non addirittura complici in nuovi genocidi e atrocità di massa. Come del resto manca una chiarezza sul concetto di genocidio culturale e sui genocidi che come in Cambogia o in Ucraina nascono all’interno dello stesso gruppo etnico e nazionale. Quello che potremmo chiamare politicidio. Inoltre Lemkin non si era posto la questione della protezione delle donne, tema oggi così attuale per quanto accade in Afghanistan e in altri Paesi fondamentalisti di matrice islamica dove viene distrutto il loro diritto alla dignità. A loro viene tolto il diritto alla vita con delle leggi che ricordano per certi versi quelle razziali. Ma la Convenzione, come aveva immaginato Lemkin, ha aperto per l’umanità la possibilità di un nuovo inizio. A Gariwo con i Giardini dei giusti vogliamo rendere vivo lo spirito di questa Convenzione in modo che possano diventare un fondamentale supporto culturale nella società. Lo possiamo fare in vari modi a partire dalla grande esperienza che abbiamo fatto in questi anni. Possiamo insegnare che qualsiasi persona nel suo piccolo può diventare nel suo spazio di responsabilità un argine nei confronti dell’odio e dei genocidi. Per questo il giardino non è la vetrina di santi ed eroi, ma il luogo del bene possibile alla portata di tutti. Possiamo invitare a esprimere gratitudine nei confronti di coloro che sono andati controcorrente come Antigone nei confronti di leggi ingiuste. Possiamo raccontare esempi morali di tutte le epoche e di tutti i contesti in modo da insegnare che i giusti nel mondo si presentano sulla scena di generazione in generazione. È il metodo della comunicazione indiretta. Il Giardino non fa prediche, non impone un paradigma, non offre una soluzione, ma invita le persone a pensare in autonomia. Scoprendo una storia di bene il cittadino può essere stimolato ad interrogarsi sulla proprie vita e sul proprio agire nel mondo. È l’esempio che stimola a pensare e a riflettere sulle proprie scelte.

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