giovedì 2 marzo 2017
Duecento anni fa moriva l’artefice che partito da Bergamo e formatosi su Palladio disegnò il volto di San Pietroburgo
L’Accademia russa delle scienze (1783 1789) e la sezione del Teatro dell’Ermitage di Giacomo Quarenghi

L’Accademia russa delle scienze (1783 1789) e la sezione del Teatro dell’Ermitage di Giacomo Quarenghi

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Un grande architetto che ha segnato la storia del ’700. Un disegnatore capace di avvertire il rapporto fra la natura e l’uomo, degno rappresentante dei nostri ultimi vedutisti. Ma anche un intellettuale pratico, mediatore tra tempi e culture nell’elaborazione di un linguaggio moderno internazionale. E tra i migliori interpreti di Palladio. Questo è stato il bergamasco cosmopolita Giacomo Quarenghi, morto il 2 marzo 1817 a San Pietroburgo, dove per quasi quarant’anni lavorò per la corte. Il bicentenario non passa inosservato e l’“Anno Q” parte con iniziative in contemporanea a San Pietroburgo, Mosca, Varsavia, Milano, Roma e nella sua terra natale. Cominciamo da qui. Due le lapidi dedicategli che oggi vengono inaugurate a Bergamo: una al Famedio, nel cimitero monumentale, l’altra all’esterno della residenza della giovinezza nella Città Alta, non lontano dalla Biblioteca Mai dove, sempre oggi, si inaugura una mostra che, valorizzando il fondo quarenghiano, proporrà a rotazione ogni settimana sino a fine d’anno un particolare disegno. Si comincia con quello della casa natale, a Rota Imagna – 25 kilometri dal capoluogo orobico – dove il secondogenito di Giacomo e Maria Rota vide la luce il 21 settembre 1744.

Si parte da lì «perché le storie si raccontano dall’inizio» fa sapere Piervaleriano Angelini, presidente dell’Osservatorio Quarenghi. E poi sono annunciati convegni, concerti, edizioni digitali di fondi, e si vedono già nuove pubblicazioni, tra le quali – al momento – spicca Signor Giacomo riveritissimo, quarantotto lettere scritte all’architetto di Caterina II da amici e committenti, collaboratori e familiari: missive conservate presso la Biblioteca Nazionale di Pietroburgo, ora trascritte e annotate da Vanni Zanella e Graziella Colmuto per i tipi del Centro Studi Valle Imagna. L’epistolario sarà presentato sabato alla Biblioteca Mai e successivamente in Valle Imagna e a San Pietroburgo. E oggi proprio nella città di Pietro il Grande, all’Ermitage, apre una mostra di fotografie di Pavel Demidov che rileggono gli edifici qua- renghiani; a Mosca l’Archivio del Moderno di Mendrisio e l’Istituto Italiano di Cultura propongono una conferenza di Letizia Tedeschi; al Museo Nazionale di Varsavia interviene Piotr Kibort presentando il progetto di pubblicazione digitale del fondo quarenghiano, mentre il Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano mette in rete la sua collezione dell’architetto. Poi le iniziative si moltiplicheranno lungo l’anno: con altri convegni, percorsi espositivi, pubblicazioni. Ancora tra Bergamo (Accademia Carrara) e San Pietroburgo, Varsavia e Milano, ma pure a Mendrisio,Venezia, Vicenza, Bassano del Grappa, Roma. Quasi una trentina le istituzioni coinvolte, un comitato internazionale con un coordinamento tutto bergamasco (dal Comune all’Osservatorio Quarenghi). Ma qual è stata l’avventura europea di questo campione del neoclassico?

Intrapresa l’attività di pittore a Bergamo mentre i suoi genitori volevano farne un avvocato o un sacerdote (come toccò ai fratelli), eccolo a Roma dal 1763 al 1770: prima allievo di Anton Raphael Mengs, poi con Stefano Pozzi, Paolo Posi, Vincenzo Brenna, Antoine Dérizet, Nicola Giansimoni. In quel tempo scopre i trattati del Palladio. «Non potresti mai credere – scrive a un amico – l’impressione che mi fece questo libro. Allora mi accorsi ch’io avevo ogni ragione di ritenermi mal diretto». Brucia i suoi disegni e si mette a copiare i monumenti antichi romani. Comincia ad affermarsi: caminetti, decorazioni, restauri, tombe (fornisce anche i disegni per il mausoleo di Clemente XIII, poi eseguito da Canova). Nel 1771 viaggia in Italia: «Firenze, Vicenza, Verona, Mantova, Venezia – noterà – furono i luoghi dove mi fermai il più, per essere quivi dove più che altrove abbondano le belle fabbriche del Palladio, del Sanmicheli, di Giulio Romano, ed alcuni altri di simil fatta. Ho pigliato il buono ovunque l’ho saputo rinvenire». Poi la svolta. Johann Friedrich Reiffenstein lo ingaggia per conto di Caterina II «con onorificentissime condizioni». Arriva a Pietroburgo nel 1779 e – sin dai primi anni – si fa notare per l’impegno febbrile che contraddistinguerà il suo servizio alla zarina e ai suoi favoriti.

Quasi una ininterrotta sinfonia di ritmi, misure, prospetti, diretta da una mente geniale. Da ricordare almeno il Teatro dell’Ermitage e la sede dell’Accademia delle Scienze (1787), la Farmacia di Corte (178588), il palazzo inglese nel parco di Peterhof (1781-89), la Banca di Stato (1790), e dopo la morte di Caterina (1796), subentrati nel governo il figlio Paolo I e dopo di lui Alessandro I, il palazzo di questi a Carskoe Selo (179296), le botteghe presso il Palazzo Anickov (1805), l’Istituto Smol’nyi (1808). Nel 1810 un suo volume – Edifices construits à Saint-Pétersbourg d’après les plans du Chevalier de Quarenghi – consacra la fama internazionale della sua opera, che reinterpreta il passato, insiste su grandi linee ed equilibrio, attinge originalità non dalla novità degli elementi, ma dal loro ordine.

E il rapporto con Bergamo? Durante i 40 anni in Russia vi ritornò raramente, pur serbandone vivo ricordo, mantenendo relazioni con familiari e amici, alcuni invitati a seguirlo in Russia. L’ultimo soggiorno orobico è nel 1810-11. Fu accolto a festa e ricevette l’incarico di disegnare per Napoleone un arco di trionfo (poi non ultimato per il mutare delle circostanze politiche). Inoltre, nel luglio 1811, vedovo da anni (la prima moglie Maria Mazzoleni, era morta nel 1793), sposò Maria Bianca Sottocasa (forse non le seconde nozze, ma le terze o le quarte, considerando un “Contratto di Nozze” con Caterina Aegerden firmato l’8 ottobre 1794 «andato in fumo» e un probabile matrimonio con la luterana Anna Caterina Conradi dalla quale ebbe una figlia). Quindi il definitivo rientro in Russia. L’attendevano gli ultimi anni: ancor attivi, anche se la salute si affievoliva, forse insieme all’entusiasmo che aveva concretizzato il sogno dell’imperatrice rinnovando il volto di una capitale.

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