Quando il giovane Michelangelo scoprì la scultura bolognese

Fuggito nel 1494 da Firenze, il ventenne Buonarroti approdò nella città felsinea e collaborò a opere pubbliche monumentali. Vi tornò, ormai famoso, tra il 1506 e il 1508
December 29, 2025
Quando il giovane Michelangelo scoprì la scultura bolognese
Michelangelo Buonarroti, "Madonna della Scala", 1490 circa
Dopo un solo anno di alunnato presso il Ghirlandaio, il giovane Michelangelo si allontanò, pare per accesi contrasti con il capo bottega, per accedere al ben più esclusivo Giardino di Casa Medici, dov’era conservata una ricca collezione di antichità e oggetti d’arte e dove si muoveva l’intellighenzia italiana allo scadere del Quattrocento: da Marsilio Ficino a Pico della Mirandola, da Angelo Poliziano a Cristoforo Landino, uniti dall’ideale neoplatonico del sincretismo tra i valori classici, impersonati dalla dottrina platonica, e i valori cristiani.
Tale posizione ideologica, che tendeva a smorzare posizioni laiciste e razionaliste della prima metà del secolo, esaltava la vita contemplativa svincolata dalle cure quotidiane: una posizione esistenziale e politica che ben si attagliava al disegno dei Medici, impegnati in un graduale accentramento del potere e in un aureo isolamento degli intellettuali, non più visti come i saggi reggitori di una repubblica platonica, bensì di un’accademia.
Michelangelo, quindi, assorbì dal cenacolo mediceo il concetto dell’Idea in contrasto con la Materia, il rifiuto del mondo materiale come fonte di ispirazione e il concetto di una bellezza idealizzata legata ad un’umanità titanica e trascendente.
Ma un impeto moralizzatore si sarebbe ben presto abbattuto sulla città ad opera di Girolamo Savonarola e la difficile convivenza della libertà di pensiero neoplatonico della corte di Lorenzo il Magnifico con la predicazione riformista del Savonarola favorì un clima di disordine e di incertezza politica (Guicciardini: “Non si giocava più in pubblico…stavano serrate le taverne”) così che, poco prima della cacciata dei Medici da Firenze, Michelangelo capì che conveniva tagliare la corda.
Era il 1494 e l’artista, neppure ventenne, fino all’anno successivo troverà a Bologna l’ospitalità e la protezione del nobile Giovan Francesco Aldrovandi, figura di primo piano nella vita politica e culturale della città, allora retta da Giovanni II Bentivoglio.
E’ da questo momento che prende avvio la mostra Michelangelo e Bologna, realizzata in occasione del cinquecentocinquantesimo anniversario della nascita dell’artista nato a Caprese nel 1475 a morto a Roma nel 1564, attualmente in corso nella città felsinea a Palazzo Fava a cura d Cristina Acidini e Alessandro Cecchi (catalogo Sillabe).
La mostra si sviluppa attraverso un percorso espositivo che comprende, tra gli altri, lavori di Ercole de’ Roberti, Francesco Francia, Lorenzo Costa, Amico Aspertini, ed è articolata in sei sezioni tematiche composte da oltre cinquanta opere tra quadri, marmi, disegni, libri, documenti d’archivio.
L’obiettivo dell’esposizione è quello di approfondire la fase di grande rilievo della biografia michelangiolesca rappresentata dai soggiorni bolognesi (una seconda permanenza avvenne tra il 1506 e il 1508).
Il primo di essi, dopo la frequentazione dell’ambiente e della cultura quattrocentesca fiorentina con gli studi delle opere di Masaccio e di Donatello (la vicinanza con quest’ultimo è sottolineata dalla presenza della celebre Madonna della scala scolpita da Michelangelo nel 1490), mette in contatto Michelangelo con la tradizione plastica centroitaliana e padana, in particolare con l’opera di Jacopo della Quercia (in mostra è presentata la sua terracotta dipinta Madonna col Bambino del 1428-1430) montata nel portale di San Petronio. Ed è qui a Bologna che Michelangelo, anche grazie ai buoni uffici del suo mecenate, partecipò al completamento dell’Arca di San Domenico con le figure dei santi Procolo e Petronio e con l’Angelo reggicandelabro, opere che hanno rappresentato il primo incontro con una committenza pubblica e con un contesto monumentale di lunga tradizione.
Il secondo soggiorno, in una Bologna conquistata da papa Giulio II della Rovere, che aveva cacciato i Bentivoglio, Michelangelo non era più la giovane promessa della fine del Quattrocento, bensì, seppure appena poco più che trentenne, un artista famoso, lo scultore di capolavori come la Pietà vaticana o il David di piazza della Signoria a Firenze. Un artista che si era addirittura potuto permettere di abbandonare il cantiere romano della sepoltura del Pontefice, che più volte non l’aveva ricevuto, suscitandone le ire, e al cospetto del quale avrebbe poi temuto di tornare.
A Bologna, dove rimase sedici mesi, perdonato da Giulio II all’indomani della conquista della città, Michelangelo ricevette l’incarico di realizzare una statua bronzea a figura intera del Pontefice, destinata ad essere collocata sulla facciata di San Petronio. Dell’opera, andata distrutta nel 1511, di grande complessità tecnica e dal forte valore simbolico che va interpretata, affermano i curatori in catalogo, come “atto di autorappresentazione del potere pontificio”, spicca la preziosa documentazione costituita dalle oltre trenta lettere del carteggio tra Michelangelo e il fratello minore Buonarroto.

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