mercoledì 20 marzo 2024
Hanno Sauer analizza la progressiva affermazione dei valori morali in funzione dell’evoluzione sociale della comunità umana, fino all’affermazione della “wokeness”
Statue del Musée d'Orsay di Parigi

Statue del Musée d'Orsay di Parigi - Paola Capelletto/unsplash

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«Le cose crollano; il centro non può reggere», scrive William Butler Yeats nella poesia Il secondo avvento. Queste parole potrebbero probabilmente essere riferite alle dinamiche del nostro tempo, segnato dalla frammentazione, che mina la nostra capacità di concepire il presente come parte di un insieme armonico e pieno di significato. Quelle stesse parole riflettono anche la nostra realtà quotidiana, marcata da un senso di incompletezza e smarrimento, in un contesto dove le certezze si dissolvono e i fondamenti del nostro mondo sembrano indebolirsi.

Quali passi, dunque, possiamo intraprendere per ricomporre il puzzle della nostra realtà, per ritrovare lo Zeitgeist, lo spirito del tempo presente? Parte da questa domanda, Hanno Sauer, filosofo dell’Università di Utrecht nel suo poderoso volume L’invenzione del bene e del male, tradotto da Barbara Baroni e Marina Pugliano e pubblicato da Laterza (pagine 416, euro 24,00). Sauer propone una genealogia della morale, convinto che la crisi morale del presente sia il risultato di secoli di stratificazioni e che ripercorrerne lo sviluppo sia l’unico modo per ritrovare il bandolo della matassa.

Ovviamente, quando si discute di genealogia della morale, è inevitabile pensare a Nietzsche, che rivoluzionò lo studio dei valori morali vedendoli come esiti di contesti storici e di dinamiche di potere, piuttosto che principi universali. Tuttavia, secondo Sauer, la ricostruzione nietzschiana dell’origine della morale non risponde a verità: in particolare, «l’affermazione secondo cui il canone un tempo vigente dei valori cristiani di umiltà e uguaglianza, modestia e compassione sia scaturito dall’impotenza e dall’odio per se stessi di uomini deboli, spinti alla creazione di valori ostili alla vita dall’invidia e dal livore per lo sfarzo dei potenti, non regge all’esame dei dati storici».

Tale confutazione di un’opera generalmente considerata un pilastro del pensiero contemporaneo, invece di dare avvio a una disanima delle ragioni a suo supporto, viene liquidata dall’autore con una scarna nota. È necessario – questa la tesi di Sauer - andare ben oltre ciò che Nietzsche stesso considerò indispensabile, interrogandoci sull’origine stessa della nostra morale. Il libro esamina l’evoluzione della società umana attraverso sette capitoli, ciascuno correlato a un’epoca significativa, da 5 milioni di anni fa fino ai giorni nostri. Inizia con l’emergenza della cooperazione umana limitata ai membri del proprio gruppo, passando poi all’importanza delle pratiche punitive per l’autocontrollo e l’adesione alle norme sociali 500 mila anni fa.

Circa 50 mila anni fa, i valori condivisi hanno rafforzato la fiducia reciproca e la coesione sociale. La narrazione prosegue mostrando come, 5 mila anni fa, la società si sia stratificata in élite e classi svantaggiate, accentuando la disuguaglianza e la resistenza a essa. Cinquecento anni fa, il progresso economico e scientifico ha spinto verso un modello sociale più equo, con un focus sull’uguaglianza umana. Nei recenti 50 anni, l’aumento delle risorse ha rafforzato la lotta per l’uguaglianza, ponendo il benessere delle minoranze come priorità morale. L’ultimo capitolo, ambientato 5 anni fa, riflette su come la divisione sociale in “noi” contro “loro” sia aggravata dalle difficoltà nel superare le residue disuguaglianze, creando una situazione complessa e sfidante.

Nell’ultimo capitolo emerge con chiarezza l’efficacia del metodo adottato da Sauer e che è possibile esemplificare in relazione ad uno dei temi di cui si occupa, la wokeness, termine con cui si indica una crescente consapevolezza sociale e politica, soprattutto riguardo a temi quali giustizia razziale, uguaglianza di genere e diritti Lgbt. Sauer illustra non solo come non si tratti di un fenomeno isolato, ma come esso si colleghi a un altro tema caldo come il politicamente corretto, ovvero la pratica che nasce dalla volontà di evitare linguaggio o comportamenti che possano offendere gruppi sociali specifici, soprattutto quelli storicamente marginalizzati o discriminati.

Riflettere sulla genealogia della wokeness implica il considerare il senso di frustrazione, presente in alcuni settori della società, di fronte alla persistenza delle disparità sociali. La consapevolezza della difficoltà di eliminare tali ingiustizie induce alcune fasce sociali a trasferire la lotta sul fronte linguistico e simbolico, generando una divisione netta tra chi accoglie con fervore e convinzione le nuove logiche linguistiche (come l’uso di pronomi neutri, terminologie inclusive ed evitare espressioni considerate offensive) e coloro che invece si sentono sempre più trattati «come bambini messi alla gogna».

A questo punto, l’autore evidenzia il pericolo «che l’agenda del politicamente corretto sia in ultima analisi il progetto di un’élite di laureati saputelli che continuano a inventare nuove mine linguistiche per segnalare di appartenere all’avanguardia morale che sa di essere dalla parte giusta della storia». In pratica, si può ragionevolmente supporre che wokeness e politicamente corretto fino a un certo punto rappresentino una reale preoccupazione per le differenze e che, per il resto, siano del tutto compatibili con una sostanziale indifferenza ai valori, cioè con una tendenza a enfatizzare le forme esteriori di rispetto e inclusione senza necessariamente impegnarsi in un cambiamento profondo dei comportamenti e delle convinzioni.

«Il paradosso della wokeness – continua Sauer - è che nelle sue manifestazioni più estreme, fomentate dalla ipersensibilizzazione morale, comincia a rifiutare l’unica forma di società che abbia mai fatto il tentativo imperfetto e comunque serio di superare i deficit morali che giustamente diagnostica come tali». D’altro canto, «coloro che rifiutano apertamente la wokeness e il politicamente corretto commettono un errore che è complementare. Il paradosso di fondo degli anti-wokeness è nel considerare nemici della civiltà occidentale coloro che chiedono a gran voce la piena attuazione dei valori e delle norme che costituiscono la civiltà stessa».

L’opera di Sauer è un tentativo coraggioso di fornire chiavi di lettura per le intricate dinamiche odierne, attingendo a discipline come genetica, psicologia, scienze cognitive, primatologia, antropologia, filosofia e teoria dell’evoluzione. L’autore utilizza il metodo della triangolazione per analizzare dati e teorie da angolazioni diverse, cercando una comprensione più profonda. Data la sua natura interdisciplinare, il volume è difficilmente collocabile in un ambito disciplinare specifico.

La rischiosa scelta metodologica che ne è alla base, piuttosto che rappresentare un vincolo, emerge come un punto di forza. Essa, infatti, non solo consente un’esplorazione delle complesse correnti che hanno plasmato il nostro tempo, ma si accompagna anche a uno stile di scrittura coinvolgente e ricco di sfumature, qualità non sempre riscontrabile in ambito accademico. In conclusione, se come osserva l’autore «i valori morali che ci legano sono più profondi di quanto pensiamo, mentre meno profondi sono i fossati che ci dividono», allora emerge la possibilità di un dialogo costruttivo e di un’intesa più autentica tra individui e comunità diverse. La sfida che ci attende è di coltivare e valorizzare questi legami profondi, lavorando insieme per superare gli ostacoli che, pur sembrando insormontabili, sono in realtà meno significativi di quanto temiamo.

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