sabato 27 aprile 2024
Per il cardinale di Marsiglia nel suo ultimo libro «vivere in una condizione di minoranza non nuoce alla cattolicità della Chiesa», che oggi va «riscoperta» nella vita concreta
Jean Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia

Jean Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia - Claude Truong-Ngoc / WikiCommons

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C’è una parola, “decentramento”, che torna insistentemente in Il dialogo della salvezza, un breve ma incisivo volume su presente e futuro della missione che esce per i tipi di Lev (pagine 128, euro 14). Lo firma il cardinale Jean-Marc Aveline, dal 2019 arcivescovo di Marsiglia. L’autore utilizza “decentramento” in un duplice significato: come appello a ricollocare Dio al centro della missione della Chiesa, riconoscendolo come il protagonista dell’evangelizzazione (non a caso il titolo originale del volume è Dio ha tanto amato il mondo) e di riflesso come invito alla Chiesa a riconoscere l’identità di se stessa come strumento (non fonte!) della salvezza e la sua vocazione a essere “cattolica”, nel senso di universale.
L’originalità del testo – sottotitolato “Piccola teologia della missione” – sta nel profondo intreccio fra le intuizioni teologiche di Aveline e la sua singolare biografia: quella di un uomo “decentrato” a motivo delle vicende familiari e personali. E che, quindi, come direbbe papa Francesco, vede la realtà da una prospettiva particolarmente feconda: quella della periferia.
Aveline unisce in sé la profondità del teologo, che ha dedicato anni alla riflessione e all’impegno sul fronte del dialogo tra le fedi (ha diretto per dieci anni l’Istituto di scienze e teologia delle religioni di Marsiglia e nel 1996 è stato fra i fondatori dell’Istituto cattolico del Mediterraneo) e la ricca esperienza di pastore, alla guida di una metropoli interetnica e interreligiosa. Tale peculiarità gli assicura un’autorevolezza non comune e attribuisce alle sue affermazioni uno speciale valore: «L’avventura spirituale del dialogo inizia con un capovolgimento di prospettiva quando accettiamo di considerare che ciò che è primario non è la ricerca umana di Dio. No, è l’amore premuroso di un Dio alla ricerca dell’uomo».
Elevato alla porpora cardinalizia nel 2022 da papa Francesco, è nato nel 1958 a Sidi Bel Abbès, in Algeria da antenati «tutti di modeste condizioni», arrivati lì nel XIX secolo. Alla sua nascita i genitori vivevano in un’oasi vicino al confine marocchino, alle porte del Sahara, dove il padre ferroviere era stato destinato. Tempi difficili, «in cui si metteva sistematicamente un vagone vuoto in testa al treno nel caso i binari fossero stati minati». Nel 1962 la famiglia Aveline si trova costretta all’esilio e, dopo una serie di peregrinazioni, mette radici a Marsiglia. Fin da piccolo, il futuro cardinale si trova così a condividere il destino amaro dei pied-noir (francesi d’Algeria), visti come coloni in Africa e come francesi a metà in Francia.
Questa “identità plurale” Aveline se la porterà dietro per tutta la vita. Scrive: «Sono diventato più consapevole della particolare vocazione del popolo dei pied-noir e del ruolo che potrebbe svolgere anche nelle circostanze che viviamo oggi nell’Europa continentale e sulle rive del Mediterraneo. Perché queste persone sradicate possono anche dimostrare che è possibile una fraternità tra ebrei, cristiani e musulmani, come quando vivevamo insieme sotto il sole di Costantina, Orano o Algeri».
Ripercorrere la biografia di Aveline, come lo stesso autore fa nel volume, permette di capire meglio la sua visione teologica, che si è nutrita, nel corso degli anni, di studi approfonditi sui testi di giganti della filosofia quali Paul Ricoeur e Jürgen Habermas e di teologi del calibro di Hans Urs von Balthasar o Henri de Lubac, ma anche del protestante Paul Tillich.
Una visione che si fonda su «tre consapevolezze che si sono imposte durante il cammino». La prima riguarda il legame tra rivelazione e missione. «Non possiamo opporre, come talvolta sentiamo, dialogo e missione. Si tratta piuttosto di vivere il mandato della missione nell’atteggiamento spirituale del dialogo, ispirato esso stesso dal gesto di Dio nella sua rivelazione». Condizione fondamentale per un annuncio efficace, osserva Aveline, è lo stato di conversione permanente di colui che evangelizza. Citando il grande islamologo Louis Massignon: «Dobbiamo conquistare le anime musulmane attraverso la santità, prima di convincerle con la dottrina».
La seconda consapevolezza di Aveline è relativa allo speciale rapporto tra la fede cristiana ed ebraica: «Agli occhi della fede cristiana, l’ebraismo non sarà mai una religione tra le altre e tanto meno una religione come le altre». Perciò «meditare su questa relazione spirituale – scrive il presule – mi ha spinto a esplorare la fecondità di collocare la missione della Chiesa nell’orizzonte della promessa fatta da Dio ad Abramo». Un’intuizione teologica di grande attualità, specie in tempi in cui riaffiorano rigurgiti antisemiti.
La terza, infine, ha a che fare col tema della “cattolicità”, da interpretare «in modo dinamico e vocazionale», come una realtà in fieri e non un risultato acquisito. «Vivere in una condizione di minoranza non nuoce alla cattolicità della Chiesa», afferma provocatoriamente Aveline. Anzi: «la “piccola” Chiesa d’Algeria è pure lei “cattolica” come qualsiasi “grande” Chiesa del mondo. La cattolicità non si misura dall’importanza del numero, ma dal sapore del sale». Particolarmente su questi temi, il cardinale Aveline mostra una piena consonanza con papa Francesco: «Quando è in mezzo ai poveri la Chiesa è più pienamente cattolica. Ed è ascoltando il grido dei poveri che si apre al grido della terra, non per moda ecologista, ma per la sollecitudine cattolica per l’intero creato».
Aveline dissemina nel suo testo espressioni molto efficaci, come quando sottolinea che «lo Spirito, che soffia dove vuole, non è in alcun modo agli arresti domiciliari nel quadro angusto dell’istituzione ecclesiale». O ancora: «Si tratta dunque di affidare il Vangelo come si affida un tesoro. Non di proclamarlo come uno slogan, che resterebbe estraneo alla vita degli altri». A un certo punto Aveline propone un’espressione che richiama il n. 24 di Evangelii Gaudium: «Anche se i cristiani professano che la salvezza è già ottenuta e offerta a tutti nel mistero pasquale, ciò non li esonera dal dover cercare le tracce della chiamata di Dio e del desiderio di salvezza in ogni esistenza umana». Il che comporta un radicale cambio di prospettiva nei confronti di culture e religioni altre. Ma il passaggio più coraggioso è forse quando il cardinale di Marsiglia afferma: «Questa è la “cattolicità” della Chiesa. Composta da ebrei e pagani sotto l’egida dello Spirito, la Chiesa accompagna il cammino di Dio verso i popoli del mondo fino ai confini della terra, pronta a entrare in un dialogo di salvezza con tutti gli uomini di buona volontà».
In chiusura, un aneddoto autobiografico. Sul suo letto d’ospedale, la sorella Marie-Jeanne lasciò a Jean-Marc poche parole: «Basta amare». Chiosa Aveline: «La Piccola teologia della missione è stata scritta seguendo questo consiglio, per incoraggiare i discepoli di Cristo di oggi a trovare nell’amore con cui Dio ama il mondo il fondamento più solido e la speranza più invincibile del loro zelo missionario».

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