martedì 15 giugno 2021
Vincenzo Castelli, anima della Fondazione intitolata al figlio Giorgio vittima di arresto cardiaco a 16 anni giocando a calcio: «Negli ultimi 15 anni 1.600 decessi in ambito sportivo»
Il calciatore della Danimarca e dell'Inter Christian Eriksen nel suo letto d'ospedale

Il calciatore della Danimarca e dell'Inter Christian Eriksen nel suo letto d'ospedale

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«Ho proposto l’obbligatorietà di corsi di formazione per i calciatori in primo soccorso. Non solo per i professionisti, ma anche per i dilettanti. Per me questa differenza non può esistere». È l’annuncio del presidente della Figc Gabriele Gravina dopo il “miracoloso” ritorno in vita di Eriksen, il cui cuore si era fermato per una interminabile sequenza di secondi, anzi minuti. Gli elogi sono andati al compagno di squadra Kjaer e a chi ha operato il massaggio cardiaco. Eppure a Copenaghen non tutto avrebbe funzionato come prescritto.

«Ci hanno messo un po’ troppo a capire che si trattava di un arresto cardiaco. Eriksen per fortuna è stato ripreso, ma sono trascorsi quasi due minuti prima che si facessero le manovre di rianimazione. Ci sono indicazioni della European Resuscitation Council, l’ente di rianimazione cardiopolmonare a livello europeo, che dicono che se un giocatore collassa in assenza di traumi di gioco si deve pensare all’arresto cardiaco e intervenire subito con la rianimazione e il defibrillatore».

Parole del medico romano Vincenzo Castelli, padre di Giorgio, 16enne calciatore dilettante che nel 2006, mentre si allenava con la sua squadra, fu vittima di un arresto cardiaco e morì tra le braccia del fratello gemello Alessio e del fratello maggiore Valerio. In sua memoria è nata l’omonima Fondazione Onlus (www.gc6) che in 15 anni ha donato oltre 260 defibrillatori e insegnato gratis a 15mila persone la cultura dell’emergenza e del primo soccorso.

«A Eriksen è andata bene – spiega Castelli –, ma si è visto che anche a livelli di competizione così alti si continuano a commettere errori nella gestione di eventi di simile gravità. Figurarsi sulle migliaia di campi di dilettanti e amatori, non solo nel calcio. Due minuti in arresto cardiaco sono una enormità. Si è poi molto enfatizzata l’azione di Kjaer, che ha tirato fuori la lingua di Eriksen. Sbagliato, non si deve fare. Non si insegna mai questo, è pericoloso. Un soggetto in carenza di ossigeno può avere delle convulsioni e, per una contrazione diffusa della muscolatura, serrare di scatto le mandibole e tranciare le dita a chi sta intervenendo. La manovra giusta per farlo respirare è l’iperestensione del capo: una mano sulla fronte e due dita sotto il mento, tirando verso l’alto per liberare le vie aeree. Lungi da me l’idea di criticare, ma dobbiamo imparare ad approcciarci nel modo migliore a eventi di questo genere».

Dal 1° maggio scorso, quando sono ricominciate le attività ricreative negli impianti sportivi, ci sono stati già cinque decessi per arresto cardiaco dovuto al calcetto. «Dal 2006, quando come Fondazione abbiamo iniziato la raccolta dati – dice Castelli –, ci sono stati più di 1600 decessi avvenuti durante attività sportiva, l'85 per cento dei quali riguarda il mondo amatoriale e il 15 per cento dilettanti tesserati per le varie Federazioni sportive. Pochissimi i professionisti. Inoltre, la stragrande maggioranza dei decessi riguarda soggetti di sesso maschile. I 1600 morti degli ultimi quindici anni rappresentano comunque un dato sottostimato, perché in Italia non esiste alcun registro ufficiale di questo tipo. Dal 2012 c’è almeno l’obbligo dei defibrillatori, ma in molti casi non c’è alcun controllo su chi abbia in pratica il compito di utilizzarli».

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