lunedì 9 settembre 2013
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Contro il razzismo da stadio, il Ministro dell’Integrazione, Cécile Kyenge, aveva ventilato da tempo l’idea di una campagna di sensibilizzazione che prevedeva un testimonial speciale: il “black-italian” più famoso nel mondo, Mario Balotelli. Ma visto che Balotelli non va dal Ministro dell’Integrazione, allora è stato il Ministro dell’Integrazione ad andare da Balotelli. Così domenica la Kyenge si è presentata nel ritiro torinese della Nazionale e ha elogiato gli azzurri per essere «un esempio riuscito di integrazione». Parole solenni e citazioni altisonanti («a 50 anni dal discorso di Martin Luther King, il sogno si è avverato…») ha pronunciato il Ministro in una sala dell’Hotel Principe di Piemonte, mentre Balotelli al piano di sopra chiuso più che mai nella sua camera, faceva sogni beati. Questa Nazionale che ha in rosa tre “figli di stranieri” nati e cresciuti in Italia, Balotelli, Ogbonna e El Shaarawy (più i due oriundi Thiago Motta e Osvaldo) è uno spot efficacissimo per l’integrazione e la presenza di Balotelli al fianco del Ministro era dovuta, quanto necessaria. Ogbonna e El Shaarawy, hanno dignitosamente sostituito il loro imprevedibile fratellone Mario che ha perso l’ennesima chance per presentarsi in maniera diversa e autorevole affrontando una problematica che lo tocca e lo ferisce da sempre. Il risveglio delle coscienze non dipende certo dal risveglio dal sonno di Balotelli, però due frasi non di circostanza e dettate dal cuore, da quello che è il bersaglio mobile preferito dei razzisti da stadio, sarebbero state molto apprezzate dal Ministro Kyenge e dai tanti figli di “stranieri d’Italia”. Certe campagne sono utili Mario, perché questo è un Paese dalla scarsa memoria e ancora popolato da pericolosi nostalgici che in Curva si nascondono dietro le bandiere e gli striscioni del razzismo e dell’antisemitismo. Molto meglio la “nostalgia Chinaglia”. La tifoseria laziale è commossa per il rientro, dagli Usa a Roma, della salma del leggendario Giorgio Chinaglia, alias il “Long John” del primo scudetto del 1974. Il 16 settembre dopo la Messa, la salma di Chinaglia verrà tumulata nella tomba di famiglia di quello che è stato il suo secondo padre, l’allenatore della Lazio del ’74, Tommaso Maestrelli. Long John in campo è stato una forza della natura («passate la palla a me che faccio gò!»), fuori ne ha combinate di tutti i colori, dall’Italia agli Stati Uniti, dalla presidenza fallimentare della Lazio primi anni ‘80 per finire alle relazioni pericolose tenute con il clan dei casalesi. Ma per il tifoso laziale resta un mito e la “nostalgia Chinaglia” si alimenta solo di quello.
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