mercoledì 20 marzo 2024
Nato a Nettuno nel 1624, fu predicatore barocco e fustigatore del carrierismo della curia. Paragonato a san Bernardino e Savonarola, fu ammirato da Manzoni, Parini e Tommaseo. Ma De Sanctis lo stroncò
Il gesuita Paolo Segneri (1624-1694)

Il gesuita Paolo Segneri (1624-1694) - Biblioteca Comunale di Trento

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Missionario, apologeta e polemista ma soprattutto un predicatore e catecheta di razza capace di trasmettere la sua salda e molto controriformista fede cattolica con uno stile di annuncio teatrale e barocco rivolto agli umili del suo tempo che vivevano nelle sperdute campagne toscane e laziali ed erano spesso capaci di recitare in latino solo alcune preghiere e farsi il segno della croce. Stiamo parlando del gesuita Paolo Segneri (1624-1694) di cui il 21 marzo ricorrono i 400 anni della nascita, a Nettuno, piccolo borgo del litorale laziale allora sotto il governo dello Stato della Chiesa. Un pensatore spesso ricordato per opere famose e simbolicamente importanti alla luce anche del tempo liturgico che stiamo vivendo in questi giorni come il Quaresimale del 1679 o un testo di culto per i suoi contemporanei (ma non solo) come La Manna dell’anima, una raccolta di pubblicazioni scritte dal religioso ignaziano tra il 1673 e il 1680.

Secondo una parte della critica cattolica, fu il maggior oratore italiano dopo san Bernardino da Siena e il domenicano ferrarese e oggi servo di Dio Girolamo Savonarola, non abusando di barocchismi marinisti nel suo stile predicatorio. Per la sua finezza nell’ars praedicandi è stato spesso associato al coevo e immortale francese Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704). Un nome quello di Segneri che ha avuto grandi estimatori per il suo stile di orazione come Alessandro Manzoni, Giuseppe Parini o Niccolò Tommaseo ma il cui lascito letterario ha raccolto anche i frutti amari della feroce critica senza appello di un gigante del settore come Francesco De Sanctis. In occasione dell’anniversario di questo illustre predicatore e fustigatore del lassismo spirituale (condannò senza tentennamenti la corrente del quietismo di Miguel De Molinos) è uscito per Gangemi il libro di Eugenio Bartolini Padre Paolo Segneri. A quattrocento anni dalla nascita (pagine 64, euro 20) corredato di un album di ritratti storici dedicati al gesuita. Tra i pregi del volume non vi è solo quello di raccontare il prestigioso cursus honorum di padre Segneri, ma anche di mettere in luce come la sua “piccola” Nettuno celebrò (diversamente da quanto si prevede magramente per questo 2024!) nel 1924, sotto la cornice retorica del regime fascista e della monarchia sabauda, il suo più illustre figlio a cui è addirittura intitolata una statua nella principale piazza cittadina.

In queste pagine si scopre, per esempio, la stima che Giovanni XXIII nutrì per questo autore definito «il genio naturale d’un Segneri» quando descrive ed elenca le doti di santità e di dottrina di san Giovanni Maria Vianney, per tutti il Curato d’Ars nell’enciclica del 1959 Sacerdotii Nostra Primordia. Affiora anche, da questa densa ricerca bibliografica su questo gigante della predicazione seicentesca, l’omaggio di un teologo e storico della spiritualità del rango del bergamasco di formazione roncalliana don Ezio Bolis che dedicò per la San Paolo un saggio nel 1996 dal titolo eloquente: L’uomo tra peccato, grazia e libertà nell’opera di Paolo Segneri.

Ma chi è stato questo religioso ignaziano su cui spesso storici di cose gesuitiche del calibro di Sabina Pavone, Adriano Prosperi o Claudio Ferlan hanno dedicato ampie indagini? A 29 anni viene ordinato sacerdote nel 1653. Annovera tra i suoi maestri di formazione, frequentando tra l’altro il prestigioso Collegio Romano, uno dei massimi storici del Concilio di Trento e poi cardinale Pietro Sforza Pallavicino. Ad accompagnare quasi “scortare” Segneri nelle sue famose missioni rurali (all’epoca i gesuiti si muovevano nei loro ministeri a due a due, in coppia, come ben racconta Adriano Prosperi saggio del 2016 La Vocazione) e sarà quasi sempre al suo fianco, il confratello Giovanni Pietro Pinamonti (1632-1704). Nella «teatralizzazione della predicazione» alle masse contadine, Segneri non abbandonerà mai la sicura dottrina della teologia morale di san Tommaso d’Aquino e le prescrizioni indicate dal Concilio di Trento e ovviamente la genuina pratica degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola. Ingrediente forte di queste missioni (che duravano di media 8 giorni e per cui profuse ventisette anni, senza sosta, del suo ministero sacerdotale dal 1665 al 1692) era accostare le masse ai sacramenti della Penitenza e della Eucaristia. E da lì suscitare in questi penitenti un vero cammino di conversione e redenzione dal peccato. Continuatore di questo stile di apostolato, come sempre ben si sottolinea in questo libro, sarà decenni più tardi, con un approccio ben diverso, ma allo stesso modo incisivo e forse più creativo (apprezzato da un personaggio dello spessore di Ludovico Antonio Muratori) il nipote e gesuita anche lui, Paolo Segneri Juniore (1673-1713).

«La pratica della predicazione, specie nei territori di campagna, prevedeva pubbliche flagellazioni, atti penitenziali - scrive Bartolini in questo denso saggio – e il cosiddetto entierro, la pratica del funerale di Cristo, con lamentazioni e pianti rituali. A questo si associava un massiccio utilizzo di immagini sacre e reliquie, il cui scopo era colpire la fantasia popolare ed eccitare i sensi alla devozione». Altro tratto unico di Segneri è stato quello di non dimenticare mai il tema della dannazione eterna e della «predica dell’inferno». A padre Segneri e ai suoi noti Quaresimali ha fatto riferimento il filosofo Pietro Prini, sul tema della «defabulazione dell’inferno» da parte del magistero ordinario e postconciliare della Chiesa Cattolica in un saggio molto discusso ma che fu oggetto di molti dibattiti, sul finire degli anni Novanta, Lo scisma sommerso.

Un capitolo sicuramente singolare di questa complessa figura fu l’amicizia e collaborazione su questioni ecclesiali, ma anche politico temporali con Cosimo III de’ Medici negli anni del suo ministero nel Granducato di Toscana. Come proverbiale fu la sua lotta al carrierismo e al nepotismo all’interno della curia romana nello Stato pontificio. Forse anche per questo nel dicembre 1692 riceverà da papa Innocenzo XII gli incarichi di teologo della Penitenzieria, esaminatore dei vescovi e qualificatore del Sant’Uffizio. Morirà due anni dopo a Roma il 9 dicembre 1694, nella casa del noviziato della Compagnia di Gesù a Sant’Andrea del Quirinale. A quattrocento anni dalla nascita sopravvive sicuramente di Segneri la sua arte di oratoria sacra, quasi di stile ciceroniano, ma anche l’intuizione strategica delle missioni rurali. Come rimane ancora attuale il giudizio che diede di lui il grande storico francese Louis Châtellier, che lo definisce il «missionario europeo più celebre della seconda metà del XVII secolo».

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