venerdì 2 gennaio 2009
Da 4 stagioni fa il terzo all'Inter, ma scende sempre in campo per i piccoli nati con la sindrome di Down, come la sua Emma che ha 3 anni: «Il mio impegno per far capire quanto siano spwciali queste creature».
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Più che un portiere di riserva, Paolo Or­landoni è un estremo difensore da ri­serva. Nel senso che andrebbe pro­tetto come uno dei magnifici “panda” del nostro calcio (per fortuna in sensibile ripo­polamento). A 18 anni era già il terzo por­tiere dell’Inter, club in cui è cresciuto: die­tro a Walter Zenga e Astutillo Malgioglio che a pensarci è stato il suo precursore di im­pegno sociale. Diciotto anni dopo Orlan­doni lo ritrovi ancora a fare il terzo, per nien­te incomodo, con davanti due monumenti tra i pali come Julio Cesar e Francesco Tol­do, ma di strada ne ha fatta tanta, anche stando in panchina. Continua ad allenarsi con la stessa serietà e la voglia degli esordi e le rare volte che è sta­to chiamato in causa (debutto in nerazzur­ro nel 2006 in un Cagliari-Inter 2-2, l’ultima lo scorso anno in Inter-Genoa 4-1) ha fatto vedere che potrebbe tranquillamente gio­care da titolare in mezza serie A. Se è tornato all’Inter poi c’è una ragione che è “speciale” quanto Mourinho (che come Roberto Mancini in passato ha espresso pa­role di profonda stima per lui): la piccola Emma. Tre anni e mezzo fa, quando gioca­va nel Piacenza, sua moglie Martina a Mon­za ha dato alla luce la loro secondogenita che è nata affetta dalla sindrome di Down. Un evento più spiazzante di un rigore, ma subito Orlandoni ha tirato fuori la grinta e il coraggio dell’autentico numero 1. «Al momento ci siamo sentiti persi. Ti rendi conto subito di quante e quali siano le difficoltà e soprattutto di come sia grande ancora la chiusura riguardo a un certo tipo di problematiche». Chi è abituato al gioco di squadra sa bene però che la forza si tro­va sempre nel gruppo. Così quello di alcu­ni genitori con dei bambini come Emma, ha messo in piedi dall’oggi al domani la On­lus, “Capirsi Down”. «Un movimento spon­taneo che si è venuto a creare nella corsia dell’Ospedale San Gerardo di Monza. Ognuno ha dato il suo contributo e così a­desso questi bambini vengono seguiti e svolgono tutta una serie di attività psico­motorie con dei risultati importantissimi sul piano della crescita e soprattutto della socializzazione. Una grande vittoria per lo­ro e per le famiglie». Un successo e dei risultati che non sempre si concretizzano, specie in alcune zone d’I­talia dove ancora c’è molto da fare per il re­cupero e il sostegno dei bambini disabili. «Il nostro purtroppo è ancora un Paese molto indietro sul piano della cultura della disa­bilità. Molto è stato fatto, ma c’è ancora tan­to da lavorare sulla mentalità e se vogliamo sulle coscienze che devono aprirsi ed esse­re più collaborative. C’è ancora chi prova vergogna e si chiude in se stesso quando ha un figlio Down, non rendendosi conto che questi bambini dolcissimi hanno solo biso­gno di aiuto e di tanto amore intorno a lo­ro. Io oggi mi sento un padre fortunato per­ché Emma è forse la più “normale” dei miei figli. E per i suoi fratelli, Giulia di 6 anni e Ce­sare che ne ha 2, è semplicemente la loro so­rellina speciale». Ed è speciale anche questo papà che sorri­de dolcemente alla vita e che appena toglie i guanti del portiere nerazzurro respinge tut­te le tristezze e le paure della piccola Emma e di tutti quei bambini, come lei, che ha già portato in visita ad Appiano Gentile. «Non credo di fare nulla di eccezionale, anche se sono consapevole che noi calciatori con la nostra immagine pubblica possiamo dare un grande contributo a certe campagne di sensibilizzazione. Per questo io come mol­ti altri miei colleghi mi spendo il più possi­bile. Ci sono tanti campioni che sono pri­ma di tutto dei fuoriclasse di umanità che ci danno una mano e di questo li ringrazio. Un ringraziamento particolare nella mia vi­cenda personale va a Fabrizio Garilli, il pre­sidente del Piacenza. È stato come un fra­tello: quando è nata Emma mi ha permes­so di abbandonare la squadra e di dedicar­mi a tempo pieno a mia moglie Martina e alla bambina, per poi accogliermi di nuovo in squadra. Un gesto quello di Fabrizio che non dimenticherò mai…». Con la sua tuta scudettata pronta per l’alle­namento quotidiano, Orlandoni non di­mentica mai di essere anche un ambascia­tore dello sport per quei piccoli che hanno difficoltà motorie. «Lo sport per i bambini disabili è fondamentale sia dal punto di vi­sta fisico che sotto l’aspetto di una piena in­tegrazione sociale. Quando un giorno smetterò con il calcio mi piacerebbe dedicare più tempo alla prepa­razione atletica di queste creature. Vorrei se­guire da vicino anche quella di Emma, ma quello che conta adesso è starle vicino, aiu­tarla a crescere in serenità insieme ai suoi fratelli e con Martina, dargli quell’amore di cui ha bisogno e che lei ci trasmette costan­temente in una maniera tutta sua, da figlia davvero speciale». Emma già da un po’ ha imparato a dire «gol», e quello lo ha segna­to con tanto di dedica nel cuore del suo papà, un portiere da riserva nell’Inter dei record.
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