sabato 5 novembre 2011
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​«I nostri governanti ci hanno detto che, per entrare in Europa e fare l’Europa, la via maestra era la moneta unica (l’euro). Oggi sappiamo che questo è falso. L’Europa si farà, e sarà un bene, solo se la pensiamo come un bene relazionale e non come “il grande mercato dell’euro”. Solo così si supera la crisi. Non già in base alla forza del denaro, ma puntando ad una qualità della vita». Questa la sfida lanciata dal sociologo Pierpaolo Donati nel suo ultimo libro scritto insieme a Riccardo Solci, <+corsivo_bandiera>I beni relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono<+tondo_bandiera> (Bollati Boringhieri, pagine 240, euro 18,00).Non si toccano come i beni materiali, non sono semplici idee, non si erogano come servizi acquistabili sul mercato. Che cosa sono allora i beni relazionali?«Sono beni utili e concreti, decisivi per la vita umana, che hanno due caratteristiche: la prima è che consistono di relazioni sociali fra persone, la seconda è che richiedono la compartecipazione di coloro che li generano e godono dei loro frutti. Sono, per esempio, l’amicizia, la famiglia, le associazioni civili, i gruppi di auto e mutuo aiuto, una banca del tempo, il clima di una azienda o di un luogo di lavoro, la sicurezza di un quartiere, la produzione “peer2peer” in internet (ovvero l’insieme di tecnologie che permettono l’utilizzo delle risorse di una rete senza la necessità di un controllo centralizzato): realtà che sono bensì “fatte” dagli individui, ma che esigono di essere considerate come dei beni che vanno oltre gli interessi, i gusti, le preferenze individuali, perché sono beni comuni. Il loro numero è potenzialmente infinito perché riguardano tutti quei beni in cui solo operando assieme le persone possono ottenere ciò di cui ciascuna di esse ha bisogno».

In quali settori ha riscontrato la presenza di questi beni?«I beni relazionali si trovano in tutte le sfere sociali, pur con diverse intensità. Certamente, i “luoghi” maggiormente deputati alla loro produzione sono la famiglia, le reti informali, il privato sociale, il mondo della cooperazione. Sino ad ora i mercati capitalistici e il settore statale-amministrativo hanno teso piuttosto a consumarli o a neutralizzarli. Tuttavia, a misura che anche il mercato e i servizi pubblici si rendono conto della necessità di dare attenzione alle relazioni umane e ai beni che essi creano e di cui tutti abbiamo bisogno, anche in queste sfere è possibile che nascano dei beni relazionali».Si stimare la loro incidenza?«Dal punto di vista qualitativo la misurazione è relativamente facile, perché abbiamo gli indicatori sulla capacità delle persone di raggiungere le loro mete con maggiore soddisfazione attraverso le relazioni mutuamente positive e arricchenti con gli altri. Dal punto di vista quantitativo, abbiamo sviluppato dei metodi matematici semplici. Tuttavia non c’è una misura “assoluta”: possiamo solo dire quando c’è maggiore o minore (o nessuna) produzione di beni relazionali, e quindi fare delle comparazioni fra chi ne genera di più o di meno».Perché le società modernizzate hanno sempre più bisogno di questi beni?«Stato e mercato soddisfano solo una minima parte dei bisogni sociali, mentre la gente sente sempre di più l’esigenza di una qualità di vita la quale dipende assai più dalle relazioni umane che dalla disponibilità di cose materiali, incluse le nuove tecnologie».Come possono cambiare in meglio la nostra vita?«Le ricadute pratiche consistono soprattutto nell’aumento della fiducia, nel constatare l’efficacia della collaborazione fra le persone e nel godere di un clima positivo che deriva dal fatto di sentirsi sostenuti dagli altri e di sapere che si è utili agli altri. È proprio lo scambio che si realizza nelle relazioni interumane che rende felici le persone. Lo si vede non solo nei gruppi di auto e mutuo aiuto, ma nelle famiglie, nelle imprese, nelle comunità locali in generale».I beni relazionali non sono esclusivi del mondo non profit ma riguardano anche le imprese che stanno sul mercato. Perché?«Noi siamo partiti dall’idea che i beni relazionali fossero propri del terzo settore. Invece abbiamo trovato che il terzo settore in Italia è ancora assai arretrato, produce beni relazionali solo in minima parte, perché non ha ancora una cultura adeguata, e soprattutto viene colonizzato dallo Stato e dal mercato. Per contro, le imprese che sono sensibili ai temi della responsabilità sociale, e quindi si distaccano da comportamenti puramente utilitaristici, generano beni relazionali come quelli che consistono nel favorire un clima aziendale cooperativo, nel prendersi cura del territorio e della comunità intorno, nel promuovere la conciliazione tra famiglia e lavoro come beni relazionali. In prospettiva, il mercato può essere civilizzato».I bene relazionali possono essere una risorsa per affrontare la crisi?«Certamente. La crisi che stiamo attraversando è una crisi epocale, forse la più grande transizione che la storia umana abbia conosciuto. Si tratta di uscire da un’economia moderna che ha pensato che tutto possa essere comperato e venduto con il denaro. Non si tratta di ritornare al baratto, ma di creare circuiti sociali di scambi utili per la vita quotidiana senza che i beni scambiati siano calcolati in base alla equivalenza monetaria».

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