sabato 12 ottobre 2019
Nannetti Oreste Fernando, dal 1958 paziente numero 4 dell’ospedale psichiatrico di Volterra, espresse la propria sofferenza incidendo giorno dopo giorno i muri di cinta. Ora una mostra lo celebra
NOF 4, sui muri di un manicomio la poesia del dolore
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Non si può parlare subito di NOF 4 senza prendere un bel respiro, senza prendere tempo; bisogna che la preoccupazione ci tolga le parole, bisogna che lo sgomento ci porti a pensare che è meglio parlar d’altro, oppure, quello che farò io, prenderla alla larga, fare tante premesse, aprire parentesi, e infine cercare di usare l’ironia per ammansire quel mostro della follia che ci vive accanto ogni giorno: l’ironia come una supplica, come una preghiera, affinché il mostro del non senso si accucci di fianco a noi come il nostro cane. Nannetti Oreste Fernando, si chiamava all’anagrafe solo Nannetti Fernando, Oreste lo aveva aggiunto forse per dare più importanza alla sua persona. 4 era il numero di matricola che gli avevano assegnato in manicomio. Con quella sigla firmerà le sue opere, il suo libro. È nato l’ultimo giorno dell’anno 1927, un presagio? Figlio di padre sconosciuto, e come si usava all’epoca indicato su tutti gli atti con NN, figlio di NN, che se volete suona un po’ più triste e un po’ peggio di figlio di puttana. A proposito, la madre. Lo abbandonerà in un opera di carità quando aveva sette anni, a sette anni già solo per il mondo con l’unica dote ricevuta in dono dai genitori: una spondilite: la schiena piegata e dolente. Poi a dieci anni il primo ricovero in una struttura per persone affette da problemi psichici; forse fosse nato adesso magari se la sarebbe cavata con una diagnosi di dislessia, discalculia, o al massimo un Bes (bisogni educativi speciali), gli avrebbero abbonato la matematica e le letture ad alta voce e via, avrebbero promosso anche lui. Invece ha avuto la sfortuna di non avere i genitori che andavano a reclamare dal preside.

Nel 1948 a seguito di una denuncia viene processato per oltraggio a pubblico ufficiale, accusa dalla quale fu prosciolto il 29 settembre dello stesso anno per vizio totale di mente. Vizio totale di mente: quindi assolto? niente prigione? Sì ma, avendo un vizio totale di mente, trascorse i successivi anni nell’ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà a Roma, prima di essere trasferito, nel 1958, nell’ospedale psichiatrico di Volterra. A Volterra, nel manicomio di Volterra, i degenti, i pazzi, come venivano chiamati, per fargli fare qualcosa li facevano girare senza sosta attorno ad un tavolo in una stanza di poco più di trenta metri quadrati, attorno a quel tavolo potevano essere cinquanta-sessanta: e gira, gira, gira; a furia di girare non è che ti passano le malattie, toh forse si abbassa il colesterolo se stai in movimento, si brucia qualche caloria se si fanno diecimila passi al giorno come dicono i dottori, e lì di passi attorno a quel tavolo ne facevano altro che diecimila, di passi al giorno. Solo che per le malattie della testa camminare non è sufficiente, non è risolutivo. Meno male che c’è un’ora d’aria, in quel campo di concentramento di sofferenti psichici, proprio come in prigione: per poco più di un ora si può stare in cortile.

A un certo punto il paziente numero 4, Nannetti, ha smesso di parlare. Tutte le volte che andava in cortile si sfilava la fibbia del proprio gilet e ha cominciato a scrivere. Dove? Sul muro. Ha cominciato a incidere quel muro che era il luogo che teneva lui e i suoi compagni segregato. Scrittore ermetico, direbbe la critica con una punta di sarcasmo, poiché il contenuto dei suoi scritti non hanno un senso a noi familiare, spesso inverte il senso di scrittura, i suoi simboli, i segni sono più complessi dei geroglifici; altre volte si legge «sistema telepatico mi sono arrivate che vi paiono strane ma sono vere [...] io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale. Questa è la mia chiave mineraria. Sono anche un colonnello dell’astronautica mineraria astrale e terrestre. I soli, le lune, stelle si alzano discendono e possono prendere qualsiasi forma e colore».

Ha scritto tanto NOF 4 ha scritto con le sue fibbie due muri, uno di 180 metri e alto 2, e l’altro 100 metri alto 20 centimetri. Non poteva permettersi di sbagliare perché la gomma non cancella le incisioni; era così tanto accurato e immerso nel suo lavoro che quando i pazienti catatonici stavano seduti inerti sulla panchina, lui per non disturbarli incideva attorno alle loro sagome. Qual era l’urgenza che sentiva dentro al cuore per dover realizzare quel lavoro immenso? Quanta sofferenza tristezza angoscia si portava dentro? Forse tutte le parole non dette e non ascoltate dei genitori, forse tutte le parole non dette e non ascoltate dagli altri esseri umani. Nannetti scrive di essere in contatto con gli alieni, questo mondo, il nostro mondo, gli è alieno e parla con loro, parla, comunica con esseri che noi non conosciamo e di cui non riusciamo a sentire la presenza. Tutte le volte che penso a NOF 4 mi vengono in mente le parole di un altro scrittore a sua volta misterioso, Kafka. Kafka disse che un libro è tale se ci colpisce come un pugno nello stomaco. Credo che intendesse dire che la letteratura, l’arte è fatta di sofferenza, perché l’arte parla della vita, e il significato della vita spesso è difficile da sopportare proprio come un pugno nello stomaco, e forse solo quel pugno ci fa comprendere l’essenzialità e la profondità delle cose. Ho scelto una incisione che mi è molto cara: «Come una farfalla libera son io tutto il mondo è mio tutti fo sognare…». Chissà quante ore, giorni o settimane ha impiegato per incidere con la sua penna particolare quella poesia.

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