venerdì 3 luglio 2020
Il 2 marzo del 2011 l’attentato che tolse la vita al ministro cattolico pachistano delle minoranze religiose. Adesso un libro ne ricorda l’opera e i frutti di pace e di dialogo
Islamabad, un gruppo di cristiani manifesta in piazza dopo l'uccisione del politico pachistano Shahbaz Bhatti il 2 marzo 2011

Islamabad, un gruppo di cristiani manifesta in piazza dopo l'uccisione del politico pachistano Shahbaz Bhatti il 2 marzo 2011 - Ansa

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«Il mio unico scopo è difendere i diritti fondamentali, la libertà religiosa e la vita stessa dei cristiani e delle altre minoranze religiose. Sono pronto a ogni sacrificio per questa missione, che assolvo con lo spirito di un servo di Dio». Queste parole rendono subito il profilo di Shahbaz Bhatti, l’uomo politico pakistano, fondatore del Fronte cristiano di liberazione, diventato ministro per gli affari delle minoranze, promotore del dialogo interreligioso e di una legislazione per vietare discorsi di incitamento all’odio, stroncato nel 2011 a Islamabad da un attentato terroristico.

Non è facile addentrarsi nel disegno della vita politica che ha fatto di Bhatti un simbolo e un paladino dell’impegno nella lotta per i diritti umani, per la giustizia sociale e per la revisione della legge di blasfemia in Pakistan. La sfida di entrare nelle pieghe della sua esistenza, del suo pensiero e della sua azione politica con una puntuale biografia l’hanno ora affrontata Paolo Affatato, giornalista responsabile della redazione Asia nell’agenzia di stampa vaticana Fides e Emmanuel Parvez, sacerdote pakistano, parroco nella diocesi di Faisalabd che è stato confidente spirituale di Shahbaz Bhatti. A cominciare dalle fondamenta cattoliche da cui proviene, gli autori ci fanno attraversare la distesa di campi di riso e canna da zucchero che si perdono a vista d’occhio nella sua natale Kushpur, villaggio nella provincia del Punjab.

«I giovani di Khushpur e dei villaggi vicini riconobbero ben presto in Shahbaz l’unica speranza e l’unico leader di un popolo che viveva nell’oscurità della discriminazione e della costante minaccia. Con lui organizzarono manifestazioni e seminari per creare consapevolezza tra la gente. Operai, contadini, piccoli commercianti e lavoratori delle industrie dei mattoni parteciparono in massa a queste riunioni volute da Bhatti. Riconoscevano in lui un leader sincero. I discorsi di Shahbaz Bhatti furono motivo di grande ispirazione per tutti. Anche i musulmani condividevano le stesse idee e spesso si congratulavano con lui». Così Emmanuel Parvez ricorda la speranza che Shahbaz Bhatti, grazie alla sua attività di leader carismatico, concreto e ancorato al Vangelo, aveva infuso nella comunità cristiana in Pakistan, a partire dal suo villaggio natio.

Questa speranza crebbe in modo esponenziale quando Bhatti divenne il ministro per la difesa delle minoranze nel governo guidato dal Pakistan Peoples Party, formazione cui aveva ufficialmente aderito dopo la morte di Benazir Bhutto. Il 2 novembre del 2008, per la prima volta nella storia del Pakistan, la delega relativa agli affari delle minoranze assurgeva a rango di dicastero, al pari degli altri che formavano il governo. In passato la tutela delle minoranze era affidata a una figura di rango inferiore, in un dipartimento all’interno del Ministero per gli affari religiosi. Era il coronamento di un’azione politica iniziata almeno sei anni prima, mettendo al centro i valori di unità, dialogo interreligioso, giustizia sociale, diritti umani e libertà religiosa per i cittadini pakistani cristiani, indù, sikh, parsi e altri gruppi.

E resterà un periodo cruciale nella storia del Pakistan quel lasso di tempo di poco più di due anni - dal 3 novembre 2008 al 2 marzo 2011 - in cui Shahbaz Bhatti ha guidato il Ministero federale per le minoranze religiose. Durante il suo mandato, Shahbaz ha promosso diverse leggi che miravano a promuovere e mettere in pratica quei valori per cui da sempre si batteva. Tra le proposte di legge su cui lavorò c’erano quella sul divieto dei discorsi di odio nel sistema di istruzione e nella letteratura; una per includere lo studio comparato delle diverse religioni nei curriculum scolastici; quella per aumentare la quota di esponenti delle minoranze religiose nel governo e nelle assemblee di rappresentanza politica.

Non tutte approderanno all’iter parlamentare, non tutte saranno discusse o diverranno legge, ma tutte costituivano la cifra dell’impegno politico di Bhatti. Quanto alla legge sulla blasfemia che anche giuristi e studiosi musulmani consideravano «il male oscuro della società pakistana» il suo punto di vista più volte espresso era questo: «Ci hanno insegnato a venerare tutte le Sacre Scritture e tutti i profeti. Temiamo solo che si faccia un uso sbagliato della legge sulla blasfemia. Molte persone sono accusate ingiustamente. Per rancori personali e sete di vendetta, si creano false imputazioni contro cristiani irreprensibili. Non vogliamo difendere il colpevole, ma proteggere l’innocente». In un clima sociale e politico già surriscaldato, nel novembre 2010 giunse come un detonatore la notizia della condanna a morte di Asia Bibi, emessa dal tribunale di primo grado di Nankhana, che confermava la validità di tutte le accuse a suo carico ed escludeva ogni circostanza attenuante. I giorni della vita terrena di Shahbaz Bhatti volgevano al termine.

E venne il 2 marzo 2011, uno dei giorni più tragici e oscuri della storia del Pakistan, quando la voce del ministro dei senza voce fu messa a tacere con un feroce attentato terroristico. Shahbaz Bhatti L’aquila del Pakistan vuole essere anche questo: un memoriale e una fonte d’ispirazione per il presente e per il futuro. Per il cardinale Joseph Coutts, arcivescovo metropolita di Karachi, c’è tutto questo nel nome Bhatti: un carico di immane sofferenza, la dignità umana calpestata di milioni di persone, la prova e il faticoso cammino di redenzione di generazioni di oppressi. La sua vicenda, raccontata in questo libro, ripropone tuttavia in modo luminoso la dinamica propria del martirio cristiano che oggi interpellano ogni cristiano in Pakistan. Non come pretesto per mobilitazioni identitarie, né come spunto di campagne d’indignazione, impostate in chiave cultural-politica. Guardando a Shahbaz, si possono cogliere i tratti propri del martirio cristiano: pazienza, mitezza, misericordia, assenza di odio verso i persecutori, amore per i nemici. In tanti nella comunità cattolica pakistana vorrebbero vederlo innalzato alla gloria degli altari, per il dono della vita che già considerano quella di un martire. Lo hanno chiesto per primi i vescovi cattolici pakistani.

E sarebbe il primo cristiano cattolico in questo Paese per cui si aprirebbe una causa di canonizzazione. Come ha fatto osservare il cardinale Ferdinando Filoni nella sua postfazione, la ricerca attenta e la ricostruzione della sua esistenza, compiute da Paolo Affatato e Emmanuel Parvez possono costituire un valido contributo per aiutare a conoscere più in profondità la sua ricca spiritualità e favorire il processo per il riconoscimento del suo martirio. Perché Shahbaz Bhatti è stato e continua a essere un dono inestimabile di valore non solo per la comunità cattolica del Pakistan, che vive da piccolo gregge in una nazione in gran parte musulmana. Perché non è semplicemente un simbolo. «È soprattutto un figlio autentico del suo Paese, un uomo che ha costruito in modo esemplare la fratellanza umana, la pace e la convivenza comune». E «la sua offerta a Dio, al prossimo, alla nazione, alla Chiesa universale genera frutti di benedizione, di dialogo, di santità».

Paolo Affatato - Emmanuel Parvez

Shahbaz Bhatti L’aquila del Pakistan

Edizioni Messaggero Padova.

Pagine 174. Euro 16

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