sabato 14 novembre 2020
In un Mondiale segnato dalla pandemia e dalle sorprese, lo spagnolo vede il titolo, anche grazie al capolavoro della Suzuki tornata competitiva dopo molti anni
Lo spagnolo Joan Mir, 23 anni, pilota della Suzuki

Lo spagnolo Joan Mir, 23 anni, pilota della Suzuki - Afp

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Il pericolo, ora, è il braccino, ma è proprio ciò che appare impossibile attendersi da colui che, oggi a Valencia, potrebbe diventare il nuovo campione iridato della MotoGp: Joan Mir, alla vigilia del gran premio della Comunità Valenciana, ha 162 punti, 37 di vantaggio su Fabio Quartararo e sul compagno di scuderia Alex Rins, quando in palio, fra oggi e domenica prossima a Portimão, il massimo bottino sarà di 50 punti. Significa, a conti fatti, che al 23enne spagnolo della Suzuki bastano 14 punti in due corse: salendo sul podio oggi (lui che lo ha fatto 7 volte in 12 gran premi, compresa la vittoria nel Gp d’Europa la scorsa settimana) conquisterebbe aritmeticamente il Mondiale, ma potrebbe farlo anche con un sesto posto se a vincere non sarà uno dei suoi due più immediati sfidanti – ai quali potrebbe non bastare vincere entrambe le gare – e addirittura, in un gioco di incastri, ha la possibilità di coronare il sogno della vita tagliando oggi il traguardo persino dopo il decimo posto. Certo, restano teoricamente in lizza anche Viñales (121), Morbidelli e Dovizioso (entrambi a quota 117), ma scenari di quest’ultimo tipo rientrano nel regno delle ipotesi trascurabili e sostanzialmente irrealizzabili.

Strano a dirsi, per un Mondiale nel quale la regola è stata quella di aspettarsi l’inaspettato. Prima Marc Márquez era finito subito ko e aveva pagato – Ulisse contemporaneo – la hybris che lo aveva riportato subito in sella peggiorando drasticamente le cose, quindi è toccato a Quartararo prendersi i titoli e la nomea di favorito, salvo poi rientrare nei ranghi per una certa discontinuità, nemica della velocità che non gli manca. Non è mancato il classico effimero primato di Dovizioso, sino a quando in testa si è installato, a forza di podi e regolarità, proprio l’improbabile Mir. Improbabile perché in MotoGp non aveva mai vinto una gara sino a otto giorni fa, ma lo ha fatto nel momento giusto, quando si trattava di allungare per avere non uno, ma due match point, al punto che oggi può bastargli una gara in difesa, che è pronto a correre senza frenesie, per festeggiare ciò che nessuno aveva previsto. E, allora, a raccontare la storia di un Mir impronosticabile quale favorito eppure quasi iridato, è giusto rilevare come – a prescindere da una crescita effettivamente eccelsa in questa stagione martoriata dalla pandemia – il maiorchino, già trionfatore in Moto3 nel 2017, rischi seriamente di diventare re della classe regina (dove ha debuttato l’anno scorso) alla sua quinta stagione assoluta nel Motomondiale. Cosa che non era accaduta nemmeno a Rossi e Márquez i quali, certo, al momento del primo titolo fra i grandi erano più giovani del Mir odierno, ma anche più quotati per quell’aura, poi confermata dai fatti, di predestinati.

È ciò che a Mir manca, e pazienza, ma sembra non fargli difetto nient’altro, neppure la moto, quella Suzuki a sua volta in testa al Mondiale, più forte delle grandi, il cui team principal Davide Brivio ha realizzato un capolavoro sportivo, comunque vada a finire. Della Suzuki ad alti livelli non si sentiva parlare dai tempi di Randy Mamola – che non fu mai iridato, ma divenne comunque un mito – o di Kevin Schwantz, storia d’altri tempi. Ma la tavola ora sembra apparecchiata con i colori della casa giapponese e dei due piloti iberici (Rins, catalano, ha firmato egli stesso una stagione eccellente dopo il brutto infortunio iniziale): se le previsioni stavolta saranno confermate, domenica prossima il Portogallo rappresenterà la passerella per il vincitore mediaticamente meno pompato di tutti.

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