mercoledì 1 giugno 2011
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Le barricate le hanno alzate, eccome. A Torino l’idea di un trasloco del Salone del libro a Milano per l’Expo 2015, anche solo parziale o temporaneo, ha fatto scattare le sirene d’allarme. Ieri su queste colonne l’analista Giuliano Vigini e lo scrittore Ferruccio Parazzoli hanno abbozzato qualche idea per agganciare al carro dell’Expo un’iniziativa legata al libro, mentre il direttore editoriale del Salone torinese Ernesto Ferrero ha ragionato su possibili collaborazioni. Ma le critiche all’appuntamento del Lingotto non sono andate giù al presidente della Fondazione del libro che lo organizza, Rolando Picchioni: «Primo: noi siamo internazionali quanto altre fiere europee: nel business to business l’anno scorso abbiamo fatto ben settemila operazioni internazionali. Non abbiamo la velleità di essere Francoforte, ma non è vero che siamo strapaese; semmai, sono altri che fanno gli stramilanesi. Noi difendiamo l’identità del lavoro che abbiamo creato e non lo vogliamo certo cedere al primo venuto solo perché ha una qualche ricorrenza. Secondo: noi non accogliamo le scolaresche per farne una transumanza pizzaiola, ma perché vogliamo che questi venti, trentamila ragazzi partecipino a laboratori creativi e di studio. Terzo, non è vero che siamo l’aia di casa che raduna i soliti noti; oltre un terzo dei visitatori viene da fuori regione. Questi stereotipi devono finire». La paura di essere "cannibalizzati" da Milano è palpabile, tanto che Picchioni rigetta anche il "modello MiTo", il festival musicale "bicefalo" che si tiene a settembre: «Non siamo gregari di nessuno. Il MiTo è nato a Torino, ma sulla stampa sembra che sia una cosa milanese. Saremmo ben contenti di fare un progetto comune con l’Expo e abbiamo già avviato contatti in tal senso, ma noi siamo noi. E sono stati gli editori che hanno scelto di venire qua anziché a Milano, anche quelli del Sud. Non vogliamo fare guerre da retrobottega, ma non permetteremo che un’eventuale una tantum diventi una semper». Sul da farsi concreto Picchioni non si sbilancia, però ricorda come in passato «siamo stati chiamati dalla Fiera di Milano per promuovere un salone tematico sul settore del mobile». Del quale però non se ne è fatto nulla... «Ci sono state valutazioni politiche non convergenti. I temi dell’Expo sono interessanti, ma vanno esaminati, concordati, vagliati...». Per il critico d’arte Philippe Daverio, assessore alla Cultura di Milano una quindicina d’anni fa, il capoluogo lombardo è al momento ben lontano dal poter organizzare qualcosa di concreto per l’Expo: «Per ora è solo un’operazione immobiliare che serve a dare infrastrutture a certi terreni milanesi. E posso escludere che gli immobiliaristi siano interessati ai libri. L’Expo dovrebbe occuparsi del rapporto tra l’alimentazione e la Terra e intorno a questo si possono fare tante cose, anche sul libro: basta deciderlo. Ma a livello internazionale non è che l’editoria italiana generi chissà quale interesse; e poi, non vedo perché una cosa che funziona bene a Torino dovrebbe venire a Milano per partecipare a un’operazione che al momento è ancora del tutto incerta, a soli tre anni dalla sua scadenza. Anzi: l’Expo potrebbe essere un tale caos cittadino che l’aggiunta di una cosa in più finirebbe per ucciderla: si troveranno i treni, i taxi, gli aerei? Per il momento non è stato compiuto nessuno dei passi necessari; a Shanghai, per l’Expo di quest’anno, avevano iniziato ad ampliare l’aeroporto sei anni fa. È vero che l’editoria è in gran parte a Milano, però il Salone da sempre è a Torino: hanno vinto i più bravi». E l’editoria non chiede tanto un altro salone o un altro festival, come spiega il responsabile dell’ufficio studi dell’Associazione italiana editori, Giovanni Peresson: «Da quando è nato il Salone di Torino, ogni anno ricorre il tormentone del trasferimento a Milano. Cosa sconsigliabile sia per questioni organizzative, sia per questioni di opportunità. Per gli editori sarebbe costoso re-imparare a muoversi in un altra città, tanto più che quella del Lingotto è un’iniziativa di successo, sia per il pubblico sia per gli operatori. Piuttosto che portare via il Salone a Torino, sarebbe meglio fare qualcosa per promuovere il libro e dell’editoria italiana. L’Expo può fornire l’occasione per qualcosa di innovativo e che possa durare negli anni – non sono accettabili iniziative che durino solo il tempo dell’evento. Milano ha bisogna di qualcosa di diverso da Torino, da Bologna, da Roma, da Mantova; qualcosa con una sua riconoscibilità. Le aziende avvertono l’esigenza, in Italia, di un’iniziativa organica di promozione della lettura: non stanziando inutilmente fondi, ma cercando di mettere in rete la vetrina di un festival o di una fiera con le biblioteche pubbliche, con quelle scolastiche, con lo sviluppo di un tessuto di librerie, con le grandi catene, con la piccola editoria, con spazi espositivi e museali. Questo è quello che auspicherebbero gli editori, perché porterebbe – come è già accaduto a Roma negli ultimi anni – a uno sviluppo dei consumi culturali».
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