sabato 23 maggio 2009
Domani la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che Benedetto XVI ha voluto dedicare a «Nuove tecnologie, nuove relazioni» per «promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia» «Gli strumenti digitali di comunicazione sono una via d’uscita dalla povertà: è attraverso di loro che passa la conoscenza Nessuno deve restarne escluso: lo dice il Papa, e lo penso anch’io»
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Dalle nuove tecnologie mediatiche na­scono nuove relazioni tra persone, ma anche nuove possibilità di esclu­sione. Di questo parla Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, in calendario doma­ni. E di questo si occupa professionalmente Nicholas Negroponte, che tra i profeti dei nuovi media gode di un riconosciuto pri­mato d’onore. Nel 1995, da direttore del Me­diaLab al Mit di Boston, con il suo best sel­ler mondiale Essere digitali preconizzò un gran numero di innovazioni nelle tecnologie e nel loro uso quotidiano che poi ci si sono materializzate sotto gli occhi e tra le mani. Oggi si impegna per evitare che quanto è di­venuto realtà si perverta in strumento di a­lienazione e in un invalicabile muro tra chi dispone dei media digitali e chi ne è privo. Per questo Negroponte leggendo il messag­gio del Papa si sente a casa sua. Professore, cosa la colpisce di più delle pa­role di Benedetto XVI? «Mi trovo in profonda sintonia con l’affer­mazione del Papa secondo la quale le tec­nologie della comunicazione vanno rese ac­cessibili anche a 'coloro che sono già eco­nomicamente e socialmente emarginati'. I nuovi mezzi di comunicazione sono la via d’uscita dalla povertà visto che sono anche i nuovi strumenti di apprendimento. In tutto il mondo vediamo figli che insegnano ai lo­ro genitori come 'leggere e scrivere' sui me­dia digitali. In questo nuovo mondo sono i bambini che si fanno protagonisti del cam­biamento, cessando di essere semplice­mente destinatari dell’insegnamento». Il Papa parla di «nuove relazioni» come ef­fetto delle «nuove tecnologie». A suo giudi­zio, che tipo di relazioni umane instaura In­ternet sempre più strumento di socialità e condivisione, il cosiddetto 'Web 2.0'? «Sebbene possa cambiare per ciascuno di noi, la qualità dei rapporti dipende dal 're­spiro' e dalla ricerca di amicizie non più li­mitate dallo spazio e dal tempo. È ciò che qualcuno ha definito la 'morte della distan­za'. Nelle nostre conoscenze così come nel­le amicizie noi negoziamo sempre l’am­piezza e la profondità. Il loro equilibrio oggi dipende dal giudizio di ciascuno, non più da vincoli di carattere fisico. Il Web 2.0 crea un’opportunità di essere più globali, vedere e ascoltare più punti di vista, dare più voce alle singole persone». I canali attraverso i quali si sviluppa il Web 2.0 aprono però un problema di privacy, in­coraggiando a condividere esperienze e pensieri in una piazza virtualmente plane­taria. Cosa ne pensa? «La privacy è come la salute: non le si presta grande attenzione finché non la si perde... Tuttavia anche chi si mostra più disposto a mettersi in piazza non intende certo tra­smettere tutti i dettagli su se stesso. È quan­do ciò che si dice 'in privato' arriva su Twit­ter (uno dei più popola­ri network sociali, ndr) che ci troviamo costretti a ripensare quel che di­ciamo e facciamo». In che modo i nuovi me­dia possono influenzare i rapporti tra la 'genera­zione digitale' – come la definisce il Papa – e la realtà? «Il maggiore influsso dei nuovi media è nel co­struire un’immaginazio­ne collettiva che altri­menti potrebbe finire li­mitata dai prodotti dei monopolisti, dagli Stati o da talune autorità. Basta dare un’oc­chiata a Wikipedia (la grande enciclopedia online redatta, aggiornata e corretta dagli stessi utenti, ndr): le nuove idee nascono da nuove voci a da differenti punti di vista». Quali possibilità e quali incognite apre la diffusione così rapida delle tecnologie digi­tali?«Il cambiamento più positivo mi pare l’in­clusione mentre, specularmente, la novità più negativa riguarda l’esclusione. Se que­sta sia la conseguenza del divario gene­razionale o economico fa poca diffe­renza: in entrambi i casi si tratta di u­na frattura. E il messaggio del Papa è un passo importante per prenderne coscienza». Benedetto XVI definisce le tecno­logie della comunicazione «un do­no per l’umanità». Lei è molto im­pegnato a trasformare questa con­sapevolezza in realtà per il maggior nume­ro di persone, specialmente nei Paesi più poveri. Ci può spiegare il senso e la portata di questo sforzo? «Il mio obiettivo è di combattere la povertà connettendo ogni bambino con un piccolo computer che costi poco, consumi poco e sia molto resistente, un laptop di proprietà da usare sempre, e non solo a scuola. A og­gi, abbiamo siglato accordi per 2 milioni di questi computer, un mi­lione dei quali è già nel­le mani di bambini in 31 Paesi di 19 lingue, dal­l’Afghanistan alla Cam­bogia, dal Ruanda all’E­tiopia, ad Haiti. Le diffi­coltà insorgono quando questo nostro sforzo in­crocia interessi com­merciali per i quali i bambini non sono una missione ma un merca­to. In ogni caso, il pro­getto 'Un computer per ogni bambino' ( One Laptop per Child) ha fatto nascere il merca­to dei cosiddetti 'Netbook' (i piccoli com­puter che servono essenzialmente per con­nettersi al Web, ndr), che quest’anno po­trebbe raggiungere il 30% della produzione mondiale di compu­ter». «Rispetto, dialogo, amicizia»: quali sono le condizioni perché questi tre princìpi, che il Papa sviluppa nel suo messaggio per la Gior­nata mondiale, diventino lo 'stile' del Web 2.0? «Gutenberg non scrisse libri. Come la stam­pa, anche i nuovi media verranno usati per il bene ma anche per il male. Ciò che cam­bia, tuttavia, è la capacità di auto-corregger­si. Cito come esempio ancora Wikipedia, per­ché è l’ambiente online nel quale le persone di buona volontà si correggono per rendere lo strumento sempre migliore. I tentativi di intrusioni abusive vengono rapidamente neutralizzati. E il bene prevale». Il Papa invita i giovani cattolici a guardare i media 'sociali' come a un luogo di testi­monianza cristiana. Cosa ne pensa un 'tec­nico' come lei? «Confesso che non è il mio terreno, ma pos­so dire che credo molto nei computer come strumenti di umanizzazione. E questo vale per tutti i credenti». «Essere digitali» (Being digital) la rese cele­bre in tutto il mondo. Oggi come intitole­rebbe un nuovo libro di "profezie tecnolo­giche"? «Being bionic ('Essere bionici'). Il futuro è certamente all’intersezione tra il mondo di­gitale e quello biologico. Essere digitali non fu una vera profezia ma un dossier su quel che stavamo realizzando al Media Lab del Mit, e solo in parte fu una estrapolazione di quei lavori. Da tre anni sono in aspettati­va dal Mit e non conosco bene le loro ricerche più recenti, ma quello che posso dire è che i bambini di tutto il mondo, persino nelle zone più povere e remote, verranno con­nessi più rapidamente di quel che pensiamo, per effetto di una 'missione' o del mer­cato. Per questo motivo, la Rete diventerà sempre più giovane e sempre più in­terculturale. Sono sicuro: ne beneficeremo tutti».
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