martedì 3 dicembre 2013
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​Testi inediti della prima metà degli anni Quaranta, quando il loro autore – Jacques Maritain – non potendo rientrare in Francia dove i nazisti gli davano la caccia, viveva in esilio negli Stati Uniti. Messaggi inviati via radio dopo Pearl Harbor, prima attraverso la Bbc, la Nbc, la Wwbc poi – dal settembre 1943 – dalla Voice of America. Articoli pubblicati su giornali come “The Commonweal”, “Pour la victoire”, “Renaissance”, interventi pronunciati tra il 1941 e il 1943 a congressi di scrittori come il Pen Club, incontri come il French Relief, l’Inter-American Seminar on Social Studies, il France Forever. E ancora: comunicazioni semisconosciute o lavori dimenticati come Attraverso il disastro, libro del 1940 paracadutato oltre le linee nemiche dall’intelligence americana e circolato clandestinamente in diversi Paesi, in cui fu anche tradotto (in Italia apparve nel 1945 per i tipi di Capriotti). Testi solo in apparenza “minori” rispetto a opere ben conosciute di quel periodo come I diritti dell’uomo e la legge naturale (1942), Cristianesimo e democrazia (1943), Per una politica più umana(1944). A quarant’anni dalla morte, a cura di Roberto Papini, arrivano in libreria gli Scritti di guerra 1940-1945(Studium, pagine 384, euro 24,50) del grande filosofo esule forzato oltreoceano dopo la firma dell’armistizio tra Francia e Germania e l’avvento di Vichy. Vi troviamo riflessioni sull’Europa e l’idea federale, la crisi mondiale e gli errori delle politiche occidentali, i totalitarismi e la democrazia, la costruzione di una nuova civiltà e la missione della Chiesa (si veda il testo inedito a fianco), ma pure i compiti del dopoguerra e la formazione delle élite nella riconquista della libertà, il rapporto tra religione e politica, i diritti dell’uomo e la legge naturale. E, nella sua introduzione, Papini mette in luce il ruolo di Maritain “faro” in quegli “anni bui” tra gli emigrati europei a Manhattan. Quando la Francia era con Pétain, l’Italia mussoliniana, la Spagna franchista, il Portogallo salazarista e New York sembrava – per dirla con Régis Debray – «una riserva indiana dell’intelligenza e dell’arte europee». E quando nella casa americana dei Maritain (come già a Meudon, la residenza alla periferia di Parigi familiare a scrittori come Cocteau, Mauriac, Bernanos, Green, pittori come Rouault e Severini, musicisti come Auric e De Falla), passarono intellettuali ed artisti di tutte le nazionalità: Werfel, Alma Mahler, Koyré, Focillon, Jakobson, Chagall, Zadkine, Simone Weil e altri. Emerge da queste pagine la lungimiranza di Maritain nel prevedere lucidamente la catastrofe in arrivo e a leggerla anche come conseguenza di una crisi culturale, fallimento causato – ai suoi occhi – dall’accettazione di un umanesimo antropocentrico e chiuso al trascendente. Si tratta, inoltre, di scritti che seppur legati al conflitto bellico mantengono la loro continuità con opere precedenti, segnate già attorno al 1935 da quel voler “rifare l’antropologia” nel segno di una riflessione filosofica in progress più che di una compiuta analisi politica, benché non manchino indicazioni pratiche e perfino aspre polemiche. Tra queste quella con Antoine de Saint-Exupéry, deflagrata dopo l’arrivo dall’Europa delle notizie sugli eccidi del nazismo e i compromessi di Vichy. Con Maritain ad argomentare che l’appello a un fronte militare di tutti i francesi contro la Germania era già valido dopo il settembre 1939 e che una parte dei francesi aveva tradito con l’armistizio, e con Saint-Exupéry convinto che l’armistizio fosse stato una sorta di “scudo” necessario per proteggere la Francia. Non è tutto. Negli Usa Maritain scoprì i caratteri della democrazia americana: l’importanza delle reti associative, del pluralismo sociale, della tolleranza, della partecipazione dei cittadini, soprattutto a livello locale, e della loyalty nei confronti delle istituzioni. Non ne avvertì, però, alcuni limiti: ad esempio la commistione con un capitalismo sempre più “deregolato”. Dal confronto con il pragmatismo americano e dalle lezioni all’Università Yale nacque invece – nel 1943 – L’educazione al bivio, l’inizio della riflessione sulla filosofia dell’educazione: un’altra delle “munizioni intellettuali” dell’uomo che verso la fine della guerra – ricorda Papini – si sentì rivolgere queste parole da John Nef, presidente del Committee on Social Thought dell’Università di Chicago: «Lei ritornerà presto. È impossibile spiegare quanto l’Europa, grazie ad alcuni europei, ma nessuno come lei, ha apportato tanto agli Stati Uniti. Il pericolo è che con la pace l’Europa riparta e noi saremo nuovamente soli».
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