mercoledì 13 aprile 2011
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«Uno dei più grandi benefattori del Sermig – scrive Ernesto Olivero nell’introduzione al suo nuovo volume "Buona Pasqua Maria", in uscita il 20 aprile per Priuli & Verlucca (pp. 160, euro 9,90) – è un uomo di strada. Luigi è un senza fissa dimora da anni. Per tanta gente è un "barbone", per altri un "ubriacone", per altri ancora è "un po’ ladro". Per me, è semplicemente un carissimo amico, uno dei finanziatori della storia di Dio che stiamo vivendo da tanti anni. Tutte le volte che passa, porta qualche spicciolo. Il suo è uno dei tanti oboli della vedova che hanno reso grande la nostra avventura. Un Venerdì Santo mi venne a trovare in chiesa. Stavo pregando davanti alla statua della Madonna che accoglie tutti i visitatori della nostra cappella. Luigi si avvicina, mi si siede accanto e mi dice parole che non dimenticherò mai: "Ernesto, oggi bisogna stare vicino alla Madonna, perché lei perde suo Figlio". Quella frase mi è entrata dentro. Mai prima di allora, teologo o sacerdote mi aveva aperto gli occhi come Luigi sul dolore di una mamma che perde il figlio. In quel momento, la mia mente rimase inchiodata al Calvario, il mio cuore a quello di Maria, nostra Madre, nostra amica, amica di tutti col dolore del suo cuore spezzato. Lo spunto di Luigi mi ha aiutato però a guardare oltre. Stare vicino a Maria che perde il Figlio, ma anche credere con tutto se stessi che quelle lacrime sono già trasfigurate nella risurrezione. Stare vicino a Maria che soffre, ma anche dirle con tutto il cuore: "Buona Pasqua Maria"». E con questo episodio vero l’ex bancario Olivero, 71 anni, fondatore nel 1964 del Servizio Missionario Giovani (Sermig) di Torino, spiega lo spunto da cui è partito il suo nuovo volume, una raccolta di preghiere mariane composte dal 1979 ad oggi. Il testo è introdotto dalle dediche del cardinale Angelo Comastri, di don Renzo Savarino, dello scrittore Erri De Luca e del portiere Gigi Buffon; proponiamo qui sotto in anteprima gli scritti di questi ultimi due autori.LE TRENTADUE «PESAH» DI MIRIAMDi Pasque ne hanno avute trentadue insieme al figlio Ieshu spuntato in mezzo a loro. Lui si chiama Iosèf, voce del verbo « iasàf », colui che aggiunge. Aggiunge la sua fede nella ragazza amata, incinta non di lui, crede al racconto della gravidanza, aggiunge per amore le sue nozze di secondo sposo e la paternità seconda di quel figlio. Ieshu sta nell’anagrafe di Davide, ceppo del messìa, perché iscritto dal pugno di Iosèf, diretto discendente. Lei è Miriàm, nome della sorella di Mosè che per prima cantò la libertà, faccia al deserto, all’attraversamento del Mar Rosso. Miriàm madre di Ieshu, trentadue anni fa tacque all’annuncio e il suo silenzio fu lo stesso un canto: all’obbedienza. Trentadue Pasque avute con il figlio, lei a cucinare agnello e uova sode, il pane messo al forno senza lievito, le erbe amare e l’impasto dolciastro del haròset, mentre Iosèf leggeva l’haggadà, la storia dell’uscita dall’Egitto, versando per tre volte il vino nei bicchieri. Pèsah, la pasqua ebraica, la migliore festa, il popolo si avvia a Gerusalemme cantando i salmi, quindici, detti « delle salite». Loro tre no, restano a casa, a Nazaret, in Galilea, lontano da quella capitale profanata dall’aquila romana,dal faccione di Giove Iuppitèr piazzato sopra il tempio benedetto. Trentadue Pasque insieme al figlio,adesso un uomo, vuol essere chiamato ben Adàm, figlio di Adàm, un nome che dispiace a loro due, perché un po’ li rinnega. Però che bravo ad aggiustare i ciechi, i lebbrosi, gli sciancati, chi sa come riesce, non l’ha imparato in casa, di sicuro. Iosèf non ha altra dote da passare, oltre quella del legno. Trentadue Pasque, numero che si scrive con due lettere dell’alfabeto ebraico: làmed, bet. Valgono una trenta, l’altra due, in quella lingua si usa l’alfabeto per indicare i numeri. Bet è la prima lettera della scrittura sacra, làmed è la finale, ultima dell’ultima parola, conclusione. «Trentadue Pasque, làmed bet, e allora?», Iosèf scuote la testa. «Nun ce pensà Miriàm, non guastarti la festa, sposa mia. Avremo, “im irtzè hashèm”, se il Nome lo vorrà, di buone Pasque ancora trentadue». Miriàm dentro il suo corpo sa di no. Ma stasera è ancora festa loro, a Nazaret, in casa coi tre bicchieri della tradizione, di vino buono da vuotare insieme. «Stasera siamo qui dentro l’esilio, l’anno venturo dentro Gerusalemme, stasera siamo figli di schiavitù, l’anno venturo figli di libertà», Iosèf pronuncia seriosorridente la formula del rito. Miriàm dentro di sé l’ascolta alla rovescia: «Stasera siamo a Nazaret col figlio in libertà, l’anno venturo a Gerusalemme col figlio in prigionìa». La profezia si pianta nel suo grembo come fu per l’annuncio, ma questa volta svuota. «Che succede Miriàm, che piangi sposa mia? Stiamo invecchiando, vero? La gioia ci dà alla testa più del vino». Sì, Iosèf, è così, lo rassicura lei. Non si azzarda a voltarsi dalla parte del figlio che ora le sorride: «Amèn», le dice Ieshu a bassa voce, «Amèn » a mamma sua Miriàm, che adesso sa. Erri LucaIO LO SO: LEI ESISTE ED È MAGNANIMAChe dire della Madonna? Ogni commento e ogni apprezzamento sembra banale e scontato di fronte ad un’entità simile. Ad ogni modo credo, nella mia vita spesso e volentieri le nostre strade si sono incrociate… almeno questo è quello che penso e quello che ho sentito. Che sia suggestione? Che sia paura di non avere e trovare un posto sicuro? Mah… Sono ipotesi che qualsiasi comune mortale farebbe, ma la mia convinzione era, è e sarà sempre che lei esiste ed è magnanima con chi la cerca e chi la desidera intensamente… Si manifesta in vari modi e sta a noi recepire un suo messaggio o un suo cenno. Pur essendo un cattolico praticante (cosa tramandata di generazione in generazione), anch’io ho dei momenti nei quali mi allontano da Dio, da Gesù e dalla sua Santissima Mamma, ma si parla sempre di periodi molto brevi nei quali mi sento vuoto, disinteressato e per nulla curioso; nonostante tutto ciò non ho mai messo in discussione la presenza di qualcuno di sovrannaturale che ci guarda da lassù. Una volta passato questo momento, la mia vicinanza ritorna più forte di prima e, come per incantesimo, anche la mia vita torna a colori e le mie giornate diventano a colori. Questo è ciò che posso dire… questo è ciò che posso raccontare… E poi è inutile disquisire o cercare di convincere gli scettici: ognuno avrà sempre una ragione per credere o per non credere. Io sicuramente ne ho più di una, ma la più importante si riassume nella parola fede. La fede non bisogna spiegarla, la fede va coltivata quotidianamente… alla fine di questo percorso ci si accorgerà della bellezza di potersi sentire vicino a Dio e alla Madonna. Buona Pasqua Maria. Gigi Buffon
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