sabato 7 dicembre 2024
Da Maurizio di Sully a Viollet-le-Duc, la fabbrica della cattedrale fu per secoli laboratorio tecnologico e teologico
L’interno di Notre-Dame dopo il restauro

L’interno di Notre-Dame dopo il restauro - Christophe Petit Tesson/Reuters

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Notre-Dame di Parigi. Quella del celeberrimo romanzo di Victor Hugo, uno dei capolavori che hanno contribuito a dare un volto al nostro romanticismo; quella che troneggia al centro dell’isola che spartisce in due fiumi la corrente della Senna e i specchia in entrambi; quella che per tanti di noi è associata a un sogno magari lontano di fiori primaverili, di gioia, d’amore. E un ricordo terribile, lancinante. Quel 15 aprile di cinque anni fa, il 2019, era il lunedì della Settimana Santa: la Pasqua di quell’anno sarebbe stata straordinariamente “bassa”, il 21 successivo. In quel periodo ero a Parigi per una ricerca piuttosto lunga in biblioteca. Verso le sei di sera, dopo una giornata intera di lavoro, ero uscito per quattro passi nell’aria che sapeva di primavera. Arrivato verso Pont-Neuf, notai un’alta colonna di fumo aranciobruno che saliva lenta da est, a monte del fiume. Coma molti altri, mi affrettai in quella direzione. A un tratto lungo gli argini della Senna avvertii attorno a me un silenzio terribile, in surreale contrasto col frastuono che proveniva dal resto della città e ch’era sempre più assordante: claksons, sirene spiegate, rumori d’auto in corsa, concitate grida umane. Pareva che tutta Parigi bruciasse. Là, una manciata di decine di metri al di là del quai, Notre-Dame era in fiamme. No, non era un film, non era un’allucinazione. Mi sentivo come vuoto: accanto a me, un altro me stesso era impietrito e agghiacciato. Quando attorno alle sei e mezza – non lo scorderò mai – l’alta flèche di legno, gesso piombo e ghisa che in pieno Ottocento l’architetto Eugène Viollet-le-Duc aveva innalzato al di sopra dell’incrocio del transetto crollò in un turbine di fiamme e di scintille, con un rumore di tuono, come una meteora. Mi serrai il volto tra le mani e piansi come un bambino lacrime ardenti. Era come se con quella guglia fosse crollata tutta la mia vita. Mi sembrò che con lei se ne andassero anni e anni di studi, di sogni, di speranze, di amori. Come fosse potuto accedere, non ci è sembrato di averlo mai compreso del tutto. Comunque, tutta Parigi e tutta la Francia lo giurò come un sol uomo. Emmanuel Macron può anche non piacere a tutti. Ma il giorno dopo lo giurò pubblicamente: «Ricostruiremo la cattedrale di Notre-Dame ancora più bella, di qui a cinque anni». Ce n’è voluta: à but de souffle, ma è successo. Ed ora, fra il 7 e l’8 dicembre, per la festa dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria, sarà festa grande per la re-inaugurazione. Simbolo di Parigi noto quanto la Tour Eiffel, ma più antica e più bella, Notre-Dame è uno splendido monumento-documento, un capolavoro dell’arte gotica matura di esemplare perfezione tanto sotto il profilo artistico-estetico-stilistico quanto sotto quello storico, filosofico e filologico. Nacque in pieno XII secolo: e la sua dedicazione alla Vergine Maria, in un momento nel quale a tutte le nuove grandi cattedrali della cristianità latina veniva imposto il nome della Madre del Cristo come simbolo glorioso dell’unità della Chiesa attorno a Roma, figura di Maria in quanto Madre di tutte le genti. A fortemente volerla erano stati re Luigi VII e Maurizio di Sully vescovo di quella che ormai era definitivamente la capitale di Francia nonché cancelliere di una delle prime e più prestigiose Università d’Europa, faro degli studi teologici e concorrente di quella di Bologna ch’eccelleva in quelli giuridici. Una tradizione non certissima, però significativa, vuole che a benedire la prima pietra fosse nel 1163 Alessandro IV, papa Rolando Bandinelli senese, deciso avversario dell’imperatore Federico Barbarossa che dal canto suo nemmeno dieci anni prima aveva solennemente legittimato lo Studium bolognese. Parve allora a molti che le due istituzioni universitarie, sorelle e rivali, segnassero simbolicamente il fato dell’Europa cristiana distinta se non divisa in due tradizioni intellettuali, la teologica e la giuridica, e in due obbedienze, la fede religiosa e la lealtà politica. La fabbrica della cattedrale rimase aperta per due lunghi secoli, fino al 1345 circa, e fu diretta da una serie d’illustri capimastri. Ma Notre-Dame non fu soltanto, dal punto di vista costruttivo, una splendida cattedrale. Fu un laboratorio tecnologico, grazie al suo sapiente programma architettonico che permise l’edificazione di mura meno spesse, sostenute da arditi archi rampanti, da vertiginose volte a sesto acuto e tali da consentire ampie pareti perforate da grandi rosoni e da altissime, luminose vetrate policrome che trasformavano la luce del sole in fantasmagorici colori. La facciata occidentale, interamente dedicata alla vita della Vergine dalla nascita all’assunzione e alla regalità di Francia collegata alle figure dei profeti, è un capolavoro di teologia, mariologia e liturgia fatte pietra. Durante il XIII secolo la cattedrale visse autentici momenti di gloria: come quando, durante il regno di san Luigi IX, arricchì il suo tesoro delle prestigiose reliquie della Passione del Signore, provenienti da Costantinopoli. Essa fu anche il centro intellettuale della teologia e della filosofia scolastica nonché la sede privilegiata nella quale si elaborò lo stile musicale dell’ars antiqua. Ma i secoli successivi furono di progressiva e sia pure dignitosa decadenza: il nobile edificio dovette adattarsi al mutar degli stili e delle mode, piegandosi al linguaggio estetico rinascimentale e quindi barocco: e tale era il contesto del suo interno durante la Rivoluzione francese, allorché fu ridotta a “Tempio della Dea Ragione”. Tornata chiesa cattadrale, assisté il 2 dicembre del 1804 all’autoincoronazione di Napoleone I. Che fu tra l’altro il primo evento del genere al quale avesse assistito: i re di Francia, tra V e XVIII secolo, erano stati difatti incoronati tutti a Reims. Ma nell’Ottocento romantico, grazie al genio letterario di Vicotr Hugo che le dedicò il suo capolavoro del 1831 e a quello architettonico del Viollet-le-Duc, Notre-Dame tornò attarverso un restauro ventennale tra 1844 e 1864, con qualche modifica peraltro filologicamente tollerabile (il “neogotico”), al suo antico splendore. Dopo allora, essa superò sostanzialmente indenne le due guerre mondiali e suscitando il rispetto dello stesso Hitler, il quale all’«ombra profonda delle cattedrali, che dominava sulle città del Medioevo» aveva dedicato un ammirato elogio nei suoi Discorsi sull’arte: egli visitò l’edificio il 23 giugno del 1940. Mezzo secolo dopo, nel 1990, la facciata della cattedrale fu oggetto di un memorabile restauro, costato 21 milioni di franchi dell’epoca. Dopo l’infausto 15 aprile 2019 ci si mise febbrilmente all’opera. Il restauro, condotto in tempi a lungo giudicati impossibili, ha impegnato le sostanze finanziarie messe a disposizione da 340.000 donatori e ha impegnato un immenso cantiere nel quale hanno lavorato, oltre a migliaia di maestranze, 2000 artigiani provenienti da ogni parte della Francia insieme con alcuni specialisti, carpentieri-restauratori, provenienti dagli Stati Uniti d’America. Domenica, festa dell’Immacolata Concezione della Vergine, la cattedrale sarà solennemente reinaugurata con il conclusivo solenne atto liturgico: la reinstallazione e consacrazione dell’altar maggiore

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