giovedì 5 luglio 2018
Lo scrittore francese frequentò gli anarchici e si formò con Prévert e Breton. Protagonista dei suoi romanzi, un investigatore che, come lui, sta dalla parte degli ultimi ma senza giudicarli
Lo scrittore francese Léo Malet, nato a Montpellier nel 1909 e morto a Parigi nel 1996

Lo scrittore francese Léo Malet, nato a Montpellier nel 1909 e morto a Parigi nel 1996

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Un tenebroso affare di Honoré de Balzac non dice molto a molti. Scritto tra il gennaio e il febbraio del 1841 a mo’ di feuilleton anticipa di pochi mesi I delitti della rue Morgue di Poe, l’antesignano del poliziesco. Come negarlo? Il cadavere c’è, eccome. Intrighi, insabbiamenti e giudici corrotti pure. Ma a differenza del filone americano anche una critica senza moralismi alla società, con protagonisti uomini che, senza infamia e senza lode, fanno la storia con le loro idee e con le loro azioni come se nulla fosse sopra di loro. Quello di Balzac non è un poliziesco, è un noir.
E, come ogni noir che si rispetti, il finale è tutt’altro che consolatorio. Arriveranno poi Storia dei tredici e Splendori e miserie delle cortigiane. E che dire di La bestia umana di Zola di una cinquantina d’anni successivo? Ebbene forse troppo alla svelta si è preferito rinchiudere romanzi al sapore di tenebra nella tranquilla categoria del genere. Puro svago e divertimento sarebbero i prodotti di Simenon, quando forse è un Balzac del Novecento? E il Boris Vian di Sputerò sulle vostre tombe?

Peccato che il noir non sia un genere perché il crimine non è al centro delle preoccupazioni dell’autore. È invece uno stile con cui narrare vicende e tormenti umani dove tutto è imprevedibile e nulla è come sembra a prima vista. E in questo filone si infila alla perfezione Léo Malet di cui Fazi pubblica in questi giorni Il cadavere ingombrante (pagine 208, euro 15,00). E qui gli elementi del noir ci sono tutti. I cadaveri, due questa volta, non sono quello che sembrano di primo acchito. Dietro a essi si nasconde dell’altro, trame e ingordigie, che piano piano si squadernano davanti agli occhi di Nestor Burma, l’investigatore privato ideato da Malet. Burma non ha nulla a che fare con Maigret. Fumano la pipa entrambi, ma lui nella società del suo tempo ci sta a malapena. Non è inquadrato nella polizia, campa come può con la sua agenzia Fiat Lux.
Agli ultimi non presta compassione e pena ma attenzione. E qualora qualcuno approfitti della loro situazione per trarci vantaggio in una Parigi da poco uscita dalla guerra alle parole, Burma, preferisce le sonore sganasce per rimetterli al proprio posto. L’umanità, Burma e Malet, preferiscono non giudicarla sospesa com’è tra la nobiltà di un gesto e la miseria delle intenzioni. Ma per coglierne la pascaliana ambiguità in salsa surrealista occorre svellere le apparenze e risolvere un intrigo. Un campo in cui Burma eccelle.
Ma chi è Léo Malet oggi oscurato dalla fortuna di Simenon? Nasce in provincia, a Montpellier nel 1909. Da lì le luci di Parigi sono lontane, soprattutto per un giovane rimasto presto orfano e cresciuto dal nonno. Eppure nel 1925 il giovane raggiunge la Ville Lumière dove per sbarcare il lunario si dedica alle più svariate attività. Venditore al dettaglio, assistente regista, imballatore presso Hachette e addirittura chansonnier. Dopo aver frequentato la redazione dell’anarchico “L’insurgé” fondato da André Colomer un giorno, passando davanti alla libreria di José Corti, si imbatte nelle pubblicazioni dei surrealisti. Comincia così a bazzicare Jacques Prévert e André Breton. Coinvolto nei progetti organizzati dal gruppo di surrealisti parigini nel 1936 si ritrova in un commissariato della capitale dove fa la conoscenza di Georges Bataille. Pur deciso a non tradire la sua vocazione letteraria la svolta di Malet succede quando Breton gli fa scoprire la figura letteraria di Fantômas. A Malet, allora, si spalanca un nuovo mondo su cui fare aggio per addentrarsi nell’universo noir ben in sintonia con il surrealismo. Nemmeno il tempo di sperimentare fino in fondo le sue prime prove letterarie e arriva la guerra. Finito in carcere ai tempi dell’Occupazione viene liberato per ragioni di salute solo nel 1943.

Ma è allora, sotto l’influenza di uno dei grandi dell’editoria francese come Henri Filipacchi, che dalla sua penna sboccia la figura di Nestor Burma, anticipando così di qualche anno la moda noir che imperverserà a Parigi a partire dagli anni Cinquanta con i vari Albert Simonin e Auguste Le Breton. Amarezza, fatalismo, disincanto ma anche umanità e senso di ribellione distinguono Burma dagli altri protagonisti noir. Eppure Malet, disinteressato alle luci della ribalta, abbandona il suo investigatore, malgrado il successo, nel 1946 per resuscitarlo nel 1957 in una serie di intrecci ambientati negli arrondissement della capitale francese e pubblicati da Robert Laffont. Nasce così la serie I nuovi misteri di Parigi. Tra il 1954 e il 1959 ne pubblica quindici ma poi la serie si interrompe anche se Nestor Burma continuerà a indagare nella sua Parigi fino al 1974.
A Malet però non sorriderà la fortuna come invece accadde a Simenon e di lì a breve accadrà a Jean-Patrick Manchette. I tempi sono cambiati e ai libri si preferisce il cinema con registi del calibro di Carné e Melville ma anche con gli esperimenti noir di Truffaut e Godard. Malet si spegnerà, quasi dimenticato, nel 1996 eppure il suo Burma continuerà a stare dalla parte degli ultimi degli ultimi senza giudicarli.

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