sabato 14 novembre 2020
Il regista Adriano Valerio nel docufilm «Le Aquile di Cartagine» racconta lo storico trionfo della Tunisia alla Coppa d’Africa del 2004: un gol anche alla dittatura e un anticipo delle Primavere arabe
Una sequenza del film «Le Aquile di Cartagine» del regista Adriano Valerio

Una sequenza del film «Le Aquile di Cartagine» del regista Adriano Valerio

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«Buongiorno a tutti, vi parlo in diretta dalla Tunisia, dallo Stadio 7 Novembre di Radès per vivere insieme la finale Tunisia-Marocco, apoteosi di questa 24ª coppa d’Africa». Il tassista ascolta silenzioso la radiocronaca, mentre guida per le vie assolate di Tunisi. E’ il 14 febbraio 2004, la Tunisia, oppressa dalla dittatura, non ha mai vinto la prestigiosa Coppa d’Africa e tutto il Paese ha gli occhi puntati sullo stadio fatto costruire dal suo padre padrone, il presidente Ben Alì. Ma quella partita sarà molto di più, sarà la scintilla che riaccenderà l’orgoglio nazionale che sfocerà nelle primavere arabe del 2011.

E’ attraverso i racconti di chi c’era quel giorno, in campo e fuori, insieme ad appassionanti immagini di repertorio, che il regista Adriano Valerio racconta quella partita nel documentario Les aigles de Carthage (”Le Aquile di Cartagine”). Dopo la prima alla Mostra del Cinema di Venezia, nell’ambito della Settimana Internazionale della Critica, il film prodotto da Full Dawa Films approda al MedFilm Festival, proiettato sulla piattaforma MyMovies, per andare poi al Matera Sport Film Festival. Raccontando un evento che costituì uno straordinario momento di coesione sociale per il popolo tunisino, l’opera di Valerio declina in chiave tecnica, intima e politica la portata di una sfida sportiva che portò la Tunisia a vincere la Coppa d’Africa battendo per 2 a 1 il Marocco. «Una serie casuale di eventi – ci spiega il regista – mi ha portato a scoprire questa partita. La Tunisia non solo non aveva mai vinto la Coppa d’Africa, ma veniva da disfatte umilianti, ed aveva un dittatore pronto a sfruttare l’eventuale vittoria come un trionfo personale. A detta di alcuni storici, proprio i festeggiamenti del 2004 ebbero un ruolo chiave nel creare la coesione sociale germogliata fino alla rivoluzione del 2011». Il regista quindi ha deciso di raccontare questa partita attraverso le parole di diversi personaggi che, a distanza di quindici anni, ne rivivono il ricordo. Fra questi un giovane emigrato tunisino che vive a Marsiglia, un bambino rimasto orfano, un ultrà tunisino.

Il film ci fa entrare nello Stadio Olympico di Radès (oggi Hammadi Agrebi), stracolmo da ore, mentre i 60mila lanciano un boato al momento del fischio d’inizio dell’arbitro senegalese Falla N’Doye. «Quando sono entrato tutto lo stadio era rosso e bianco, le bandiere della Tunisia erano ovunque, tutti stavano intonando slogan per la Tunisia. E’ stata l’unica volta che sentivo quell’emozione» racconta a Valerio il calciatore Karim Haggui, che all’epoca aveva 19 anni ed era già titolare della Nazionale tunisina come difensore centrale. «Ho giocato 83 volte con la Nazionale, ma quel giorno non lo scorderò mai. Avevo solo una cosa in testa. Vincere la guerra. Non c’erano altre opzioni» spiega mentre scorrono le immagini delle prime concitate a- zioni degli attaccanti Ziad Jaziri e Francileudo Dos Santos. Ed è proprio Dos Santos a sbloccare il risultato di testa, a soli 5 minuti dall’avvio della partita, sfruttando un perfetto traversone di Nafti e lasciando di stucco la difesa marocchina: 1–0. Il Paese esulta. Ma al 38’ il marocchino Youssef Mokhtari congela il pubblico con un colpo di testa perfetto: 1–1. Nella ripresa la Tunisia mostra maggiore veemenza e il Marocco arretra. Un colpo laterale da sinistra del tunisino José Clayton, non trattenuto dal portiere Foulhami, e il numero cinque Zied Jaziri arriva e infila al 52’ il gol vittoria per le Aquile di Cartagine: 2–1. Al fischio finale, un terremoto percorre lo stadio mentre i calciatori si inginocchiano insieme a ringraziare Dio. Il capitano Khaled Badra insieme al compagno Riadh Bouazizi prende la coppa dalle mani di Ben Alì che non se ne stacca davanti alle telecamere come se fosse lui il campione. Fuori dallo stadio però è la festa, 12 milioni di tunisini scendono in piazza per la prima volta spontaneamente. Non avverrà più fino alle rivolte del 2011.

Il regista milanese ha dedicato il film al padre Sandro e al figlio Carlo, di 4 anni e mezzo, «tre generazioni di interisti sfegatati ». «Spesso il calcio mi ha permesso di abbattere delle barriere. Ho incontrato persone giocando a calcio sulla Piazza Meskel, ad Addis Abeba, sui campi de Zambia e Burundi e persino sull’unico campo di Tristan da Cunha, in netta pendenza e dove vince sempre chi gioca in discesa». Ma la Coppa d’Africa ha un fascino in più. «La Coppa d’Africa l’ho seguita soprattutto nelle mie due città di adozione, Palermo e Parigi: nell’Oratorio di Santa Chiara, a Ballarò, dove tutta la comunità dell’Africa Centrale si ritrova per guardare le partite; e nei bar del Boulevard de Belleville, con la comunità nordafricana. C’è una voglia di riscatto attraverso il calcio: la voglia di dirsi che si è all’altezza degli altri, che il proprio popolo può essere il vincitore, il re d’Africa per una notte».

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