C’era un sudafricano, un neozelandese ed un francese… sembra una barzelletta ed invece sono le nazionalità dei recenti commissari tecnici degli azzurri del rugby. A questi bisogna aggiungere da quattro mesi l’irlandese Conor O’Shea, campione qualche anno fa in maglia verde dell’Irlanda ed oggi pronto al debutto sulla panchina italiana in un test match casalingo dopo il trittico del Tour nelle americhe di questa estate. Da sfidare ci sono i mitici All Blacks, i campioni del mondo, la squadra più vincente della storia che però arriva all’Olimpico ferita e stordita dopo la batosta subita sabato scorso per 40 a 29 a Chicago proprio contro l’Irlanda.All Blacks che scenderanno in campo come uno squalo assetato di sangue, vogliosi di battere e schiantare l’Italia per dimostrare che loro, solo loro, sono i più grandi. Al di là del match di oggi gli sguardi dell’Italia ovale sono rivolti al prossimo quadriennio, alla coppa del Mondo del 2019 in Giappone, al Sei Nazioni di febbraio dove si vuole evitare l’ennesimo cucchiaio di legno. Al ct si chiede un salto di qualità e risultati, vittorie che consentano di far decollare un movimento che è attivo ma non vincente. Partiamo dalla sfida di oggi (Tv: DMax Canale 52 a partire dalle 14.15, fischio d’inizio alle 15).
Mister O’Shea, il debutto non è dei più semplici, possiamo battere anche noi la Nuova Zelanda?
«È la sfida perfetta anche se molto difficile. La vittoria irlandese non è un caso, è figlia di un percorso di diversi anni. Oggi noi non abbiamo molta fiducia, sarebbe molto facile per me dire che cambieremo la nostra storia e lavoreremo duro nei prossimi anni».
Come si spiega i tanti insuccessi azzurri dell’ultimo decennio?
«La vittoria, i risultati, sono la mia responsabilità, quella dei giocatori è la prestazione. So che abbiamo molto potenziale in Italia, dobbiamo rompere il cerchio di critiche che ci circonda, diventare più consapevoli delle nostre qualità».
Oggi in campo farà scendere tanti giovani...
«La nostra formazione non è per nulla sperimentale, è la migliore possibile, giocare è l’unico modo per fare esperienza e non vedo l’ora di vedere Bisegni all’ala, mentre Bronzini ha fatto un ottimo inizio di stagione con la Benetton e sarà interessante vedere Van Schalkwyk, che volevo portare agli Harlequins, in seconda linea dove ha giocato molto con i Blue Bulls. Ogni giocatore ha un lavoro da fare e voglio vedere che ognuno svolge il proprio compito sul campo: non è il risultato che conta, ma la prestazione. In questo senso la partita di oggi è perfetta per noi. Nei prossimi anni giocheremo per cambiare la mentalità del rugby in Italia. Sarà questo il nostro lavoro».
L’Irlanda ha superato il “mito”, possiamo sognare anche noi?
«Le fasi di conquista saranno fondamentali, ma anche la fisicità per coprire tutto il campo sarà cruciale. Voglio vedere una squadra che gioca per ottanta minuti, abbiamo un piano di gioco che dobbiamo rispettare. Non giocheremo come l’Irlanda, il Galles o l’Australia, dobbiamo giocare come l’Italia. Non possiamo prendere il piano di gioco dell’Irlanda e copiarlo, è un piano che si è sviluppato negli ultimi anni e hanno raccolto il frutto del loro lavoro. Noi abbiamo atleti di esperienza come Parisse, Cittadini, Ghiraldini che vogliono fare lo stesso, lasciare un segno per chi verrà dopo di loro. La vittoria irlandese non è un successo nel mezzo del nulla, ma un percorso che viene da lontano».
Cosa vuole vedere dai suoi ragazzi a partire da oggi?
«Voglio vedere una squadra che gioca al meglio e non si arrende mai».
Dove pensa che abbiano sbagliato i suoi predecessori?
«L’Italia ha avuto grandi allenatori prima di me. Ora sono qui per ottenere risultati e, spero, cambiare le cose e lasciare un segno nel rugby italiano con questo gruppo di giocatori e nel lungo termine. C’è grande talento ed il sistema è migliore di quanto molte persone pensino. Chi critica dovrebbe venire a conoscere il sistema del rugby italiano che ritengo sia valido».
Lei ha detto che il rapporto con i super club, così come i quelli d’Eccellenza deve essere continuativo. Perché?
«Il rapporto è molto semplice: se vincono le Franchigie, vinciamo noi. Io ed i miei collaboratori assistiamo agli allenamenti di Benetton e Zebre almeno una volta a settimana, ci confrontiamo, lavoriamo insieme».
Pecchiamo spesso di cali fisici e mentali, oggi saremo capaci di giocare fino al fischio finale?
«Ho detto da subito che è necessario alzare il livello del fitness di tutta la squadra, perché bastano uno e due giocatori non a livello per mettere in crisi tutta la squadra a livello internazionale, non solo contro gli All Blacks».
Cosa non dovrà mai mancare nei prossimi anni alla sua Nazionale?
La miglior prestazione possibile da parte di ogni singolo giocatore è la loro responsabilità. E ognuno potrà farlo se avrà un ruolo chiaro e specifico in campo».
Dica la verità, si sente già un po’ italiano?
«Sono molto emozionato... Non vedo l’ora di cominciare, sarà fantastico. Cosa chiedere di più? Io sono italiano da quando ho accettato questo lavoro: ho portato la mia famiglia e le mie figlie in Italia, viviamo a Sirmione, le bambine studiano a Verona».