giovedì 7 aprile 2016
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Sette partite, 630 minuti più recuperi assortiti. Poi chissà, quien sabe, who knows, l’Internazionale F.C. è il trionfo della multietnicità e quindi il grande dubbio rimbalza tra le mura di Appiano Gentile in tutte le lingue del mondo: quale futuro per l’Inter, cosa c’è dietro l’angolo tra le stagioni? Di certezze poche, forse nessuna; poi è un derby interno tra buono e cattivo, tra timori e speranze. Tra queste ultime, vacilla forte quella della qualificazione alla Champions League, vissuta ormai dalle squadre di alto bordo come il 27 del mese da una famiglia italiana: e a meno di iperboliche rimonte, di suicidi romanisti o napoletani, l’Inter dovrà fare a meno dello stipendio per il quarto anno consecutivo, e per vivere bisognerà vendere qualche pezzo pregiato ancora presente nel salotto di casa. E tagliare, tagliare e ancora tagliare i costi più vivi, che tutti sanno in una squadra di calcio essere rappresentati dai salari. All’Inter il più alto viene versato sul conto corrente di Roberto Mancini, scivolato in tre mesi dal ruolo di plenipotenziario dotato di carta bianca a normale, stimatissimo tecnico tuttavia in crisi di risultati e lontano dall’obiettivo minimo prefissato dalla società per evitare lo smantellamento. Tecnico che, tra l’altro, non può chiamarsi fuori dal flop anche per ragioni extracampo: plenipotenziario, abbiamo scritto, ed è ben noto come il “Mancio”, sulla falsariga del modello inglese che tanto ama e rimpiange, ha potuto infilare entrambe le scarpe nelle campagna acquisti, spesso “off limits” a molti suoi colleghi meno fortunati. E l’ equazione “Fatti la tua squadra e vinci” non è stata risolta, a dispetto di una prima fase di torneo in cui la prima posizione costruita a suon di 1-0 aveva stupito positivamente più di un osservatore. Inter e Mancini, insomma, si stanno guardando negli occhi, l’uno a cercare di capire le intenzioni dell’altro. Il club, sempre alle prese con la latitanza fisica del suo proprietario, sta valutando seriamente il rapporto costo-beneficio del suo allenatore manager anche o soprattutto in vista di tempi peggiori; è proprio in virtù di questi, anche lo stesso tecnico jesino potrebbe riflettere sul quanto possa essere periglioso rilanciare su un progetto senza probabilmente avere più a disposizione risorse importanti per il rafforzamento dell’organico. Sul piatto delle rispettive decisioni, inoltre, c’è anche l’ambiente, il tifo, il popolo bauscia tra cui l’indice di gradimento del Mancio è in netto calo: anche domenica, dopo l’ennesimo e inatteso rovescio interno contro il Toro, non è stato piccolo il numero dei censori interni, che hanno attribuito la sconfitta anche a una gestione discutibile dei cambi. L’orizzonte del Mancio è più nero che azzurro: e proprio a proposito di azzurro, da Coverciano rimbalza la voce di contatti cercati (e trovati) dall’entourage dell’allenatore marchigiano con Tavecchio e i federali: c’è un posto importante che si libera, che abbina prestigio, possibilità di vivere un po’ più tranquillamente con stipendio soddisfacente (a patto che sia lo stesso del predecessore Conte, 4,5 milioni annui) e lavorare molto sulla indiscussa specialità della casa, che è quella di identificare i giocatori bravi: qui non bisogna tirare fuori libretto degli assegni o chiamare l’amministratore delegato, basta fare una telefonata, anche questa nel repertorio migliore del Mancio. Dalla figura dell’allenatore duro e puro al gran ritorno del selezionatore: Tavecchio ci pensa, e qualcuno sussurra che abbia già deciso. Palla all’Inter e a Mancini: che quando la palla l’aveva tra i piedi, difficilmente sbagliava una scelta. © RIPRODUZIONE RISERVATA Dopo l’ennesimo e inatteso rovescio interno contro il Toro e il terzo posto sempre più lontano, la panchina del tecnico scricchiola per la prossima stagione Eppure potrebbe chiamarlo la Nazionale prima che Thohir prenda una decisione Roberto Mancini
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