Al di là dei giochi di potere e della tratta dei consensi, Infantino ha potuto contare fin da subito sull'appoggio degli Stati Uniti, il Paese che ha dato l'ultima, definitiva spallata alla monarchia di Joseph Blatter, aprendo le valvole del Fifagate. A quanto pare, insomma, il pallone non è ancora pronto per essere governato da un "capo" arabo, anche se Al-Khalifa aveva rastrellato con una discreta disinvoltura i voti dell'Asia e dell'Africa. Forse sarà per la prossima elezione. Forse.
Infantino ha garantito un ampio rinnovamento nel segno della trasparenza, della pulizia e della legalità. Che dovrebbero essere caratteristiche "normali", anzi scontate, ma che allo stato dell'arte sono diventate lo slogan vincente per assicurarsi la battaglia elettorale. E' chiaro che l'ormai ex segretario generale della Uefa dovrà impegnarsi per cambiare strategie, struttura e atteggiamento della Fifa, finita sotto la lente di ingrandimento persino dell'Fbi. Non a caso, Infantino si è posto e proposto come un dirigente democratico, aperto alle novità, disponibile ad ascoltare la voce di tutti. Già, i dittatori non abitano più qui.
La sensazione è che la sua sarà una rivoluzione morbida, ma pur sempre una rivoluzione. Anche perché molti (tutti) si aspettano da lui qualcosa di diverso e di concreto per rilanciare un movimento schiacciato da 40 anni di governo a senso unico.