venerdì 15 maggio 2009
Nel 1637 oltre trentamila cattolici giapponesi, guidati da un condottiero sedicenne, si ribellarono alla persecuzione religiosa. Un romanzo di Rino Cammilleri ricorda quella vicenda di fede ed eroismo.
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Nel dicembre del 1637 circa trentasettemila kirishitan, cioè cristiani, si asserraglia­rono nel castello di Hara, nell’allora provincia di Hizen, nell’Isola di Kyu­shu, la più a sud dell’arcipelago nip­ponico. Ventimila tra contadini e commercianti, inquadrati militar­mente da seicento ronin, samurai decaduti, più diciassettemila donne e bambini al seguito, decisi a resi­stere fino alla morte per rivendicare la libertà di culto e sfidare un pote­re feudale giunto a livelli di tor­chiatura fiscale e di crudeltà i­nauditi. A guidarli era un giova­ne di soli sedici anni, Amakusa Shiro, figlio di un samurai cri­stiano e creduto – per il suo ca­risma e una serie di miracoli che gli furono attribuiti – l’«in­viato dal cielo» citato in una misteriosa profezia attribuita a San Francesco Saverio, ri­trovata nel testo lasciato dietro di sé da un gesuita in fuga dal­la persecuzione anticattolica. Era un popolino proveniente dalle isole Amakusa e dalla penisola di Shimabara, co­stretto a professare la fede nel segreto, pena la morte, odiato dai bonzi buddisti quanto dallo shogunToku­gawa Ieyasu, che vedeva in ogni presenza cristia­na un cavallo di Troia de­gli imperi marittimi di Portogallo e Spagna. Un popolino che, abituato a tirar di roncola più che di spada, aveva però scelto di uscire dalle ca­tacombe e sfidare in ar­mi le autorità locali: pri­ma aveva tentato di as­saltare i castelli di Hondo e Tomioka, poi aveva resisti­to alle rappresaglie, infliggendo pesantissime perdite alle spedizioni dei daimyo, i feudatari locali, poi e­ra arrivato vicino all’inaudito, cioè la presa della fortezza principale della zona, quella di Shimabara, del daimyo Matsukura Katsuie. Infine, impossibilitato a continuare lo scon­tro in campo aperto contro un eser­cito via via sempre più imponente, grazie ai rinforzi provenienti dal re­sto del Giappone, si era rifugiato in un grande fortilizio abbandonato, a ridosso dell’oceano. Sapendo che da lì, salvo miracoli, non sarebbe più u­scito più vivo. Le navi che erano servite per appro­dare al castello furono distrutte e il legno fu usato per rinforzare le mu­ra diroccate. Sui bastioni furono in­nalzate grandi bandiere bianche cro­ciate e i kirishitan si apprestarono a combattere invocando l’aiuto di Ie­su Kirisuto (Gesù Cristo), di Mariya e dei santi. Niente messe, perché di missionari o sacerdoti autoctoni per celebrarle non ne erano rimasti – quelli che non erano riusciti a la­sciare il Paese erano stati trucidati – , solo rosari ed esortazioni mistiche dell’Inviato del Cielo. Per cinque me­si i ribelli resistettero all’impossibi­le, anche alle cannonate di una na­ve olandese guidata dal calvinista Ni­colas Koekebakker, che aveva mes­so a disposizione per l’annienta- mento dell’insurrezione papista le sue bocche da fuoco. Fino alla capi­tolazione, per sfinimento, mancan­za di viveri, munizioni, sabotaggi in­terni, il 12 aprile del 1638. I kirishi­tan furono massacrati e tutti deca­pitati. La spianata attorno al castel­lo fu disseminata di pali con le loro teste mozzate, come un immenso campo di macabri girasoli. La testa di Amakusa Shiro fu portata a Naga­saki come trofeo e avvertimento per i restanti seguaci di Iesu Kirisuto e del gran regnante di Roma. Per raccontare la vicenda della ri­bellione di Shimabara, la Masada della Chiesa giapponese, poco conosciuta in Occidente, Rino Cammilleri, saggista prolifico e di lungo corso, ha scritto quello che probabilmente è il più bello tra i ro­manzi storici che finora ha firmato: Il Crocifisso del Samurai (Rizzoli, pa­gine 276, euro 18,50). Lo ha fatto mi­scelando una trama di fantasia che vede protagonisti tre seguaci di A­makusa Shiro – il giovane Kato, la sua amata Yumiko, prelevata dalle guar­die di un daimyo e torturata pubbli­camente con l’unica colpa di essere figlia di Kayata, samurai cattolico che non aveva potuto pagare le tasse al­le autorità – e un racconto degli ac­cadimenti di quel 1637 di sangue e della grande persecuzione dei de­cenni precedenti. Un’immersione in un Giappone ar­caico e feroce, dove sulla fiorente Chiesa nata dalle missioni gesuiti­che e francescane si abbatté una vio­lenza che ha avuto pochi uguali nel­la storia.E dove gli shogun della di­nastia Tokugawa, dopo aver preso il potere nel 1603 chiusero sempre più il proprio impero ai rapporti con gli stranieri – dopo la ribellione di Shi­mibara per oltre duecento anni il Giappone divenne sakoku, quasi to­talmente blindato e autarchico – e i cristiani si eclissarono. Riemersero alla luce, come per miracolo, alla fi­ne di un tunnel plurisecolare, solo nel 1865, quando i missionari tor­narono in quella lande.
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