lunedì 3 febbraio 2014
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Una «casa» per più di un miliardo di persone. È così che gli utenti vivono Facebook, il cui successo sta nella combinazione tra semplicità e multimedialità. Un successo che ha costretto anche aziende e istituzioni a rivedere il loro modo di comunicare. Ne è convinta Layla Pavone, da poche settimane presidente del Centro studi di AssoCom (che riunisce le aziende di comunicazione), amministratore delegato dell’agenzia Isobar Italia e presidente onorario di Iab Italia, che si occupa di pubblicità interattiva.In che senso Facebook offre una casa ai suoi utenti? «Al netto delle critiche e degli entusiasmi si può dire che Facebook, le cui due prime chiavi di successo stanno nell’essere uno strumento semplice da usare e multimediale, è riuscito a offrire una vera e propria property a utilizzo gratuito a tutti gli utenti, che così possono avere non solo una presenza ma, in qualche modo, una propria "casa" online. Questo si traduce nella possibilità poi di socializzare e di entrare in relazione con persone, ma anche con le aziende. Non dimentichiamo, infatti, che tutto il fenomeno di Facebook e dei social network offre anche al mondo del business la possibilità di entrare in contatto con le persone attraverso una modalità assolutamente innovativa. Quella offerta in questi ambienti, ad esempio, non è più propriamente pubblicità, ma si tratta piuttosto di una ricerca di relazione, di ingaggio, di dialogo».E questo come si traduce?«Lo sforzo è quello di entrare in relazione sia con un target giovanile (sempre più refrattario a forme pubblicitarie afferenti ai mezzi classici) che con gli adulti, che passano sempre più tempo all’interno di Facebook e dei social media in generale. Ma per stare dentro a questi media le aziende devono cambiare il paradigma di comunicazione: si tratta di instaurare un dialogo basato non tanto sulle peculiarità dei prodotti o dei servizi offerti ma su delle storie. In questo modo si tira in ballo il "territorio valoriale" legato a esempio a un marchio. E ciò deve avvenire in una relazione paritetica, continuativa nel tempo e basata sulla trasparenza».Però non di rado la comunicazione tra gli utenti su Facebook è caratterizzata da alcuni eccessi. Perché?«È sicuramente vero che internet enfatizzi, e alle volte esasperi, una tendenza, per esempio l’uso di toni aggressivi, ma questa in realtà non arriva dalla rete. Se dovessimo trovare un imputato io lo individuerei nella televisione, che ha in qualche modo lasciato passare una serie di modelli e una serie di valori o disvalori che poi si sono riverberati in qualunque forma di espressione. Per quanto riguarda internet, comunque, l’aspetto più critico, a mio parere, è la possibilità dell’anonimato, che per certi versi avrebbe bisogno di essere regolamentato».Quindi ci vogliono regole più ferree per la privacy?«Questo è un tema che andrebbe seriamente approfondito. Si tratta di conciliare le esigenze della privacy con la continua ricerca di protagonismo espressa dagli stessi utenti. Di certo sul tema della privacy quello che manca è la consapevolezza. Bisognerebbe intervenire per rendere consapevoli le persone che da un lato internet è un ambiente che non dimentica (tutto quello che scriviamo rimane) e dall’altro che, anche su Facebook, è possibile decidere il livello di privacy e quindi il livello di riservatezza o di pubblicità dei propri contenuti. Diffondere questa consapevolezza e questa cultura sarebbe il compito di chi fa informazione, delle istituzioni, della scuola».Per quanto riguarda la privacy Facebook ha più volte ripensato le proprie regole su pressioni esterne...«Per Facebook, come anche per Google, è necessario evolvere in base alle esigenze espresse dagli utenti e non solo».A proposito di evoluzione, Facebook sparirà come è stato predetto?«Le ricerche che fanno queste previsioni appaiono come presuntuose e strumentali. In realtà Facebook ha raggiunto una massa di utenti enorme e ciò significa che il servizio offerto funziona e ha la capacità di evolversi. Facebook continuerà a esistere se saprà ascoltare le esigenze degli utenti e cogliere i segnali di debolezza».
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