martedì 14 giugno 2022
"Los fusilamientos" di Francisco Goya dimostra come l’umana ragione si abbrutisca nella più cruda violenza. L’incubo di questa immensa barbarie si riaffaccia ad ogni generazione
Francisco Goya, "3 maggio 1808" o "Los fusilamientos", 1814. Madrid, Museo del Prado

Francisco Goya, "3 maggio 1808" o "Los fusilamientos", 1814. Madrid, Museo del Prado - WikiCommons

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Los fusilamientos di Francisco Goya (1746-1828) è l’opera più alta e tragica della pittura occidentale. È il luogo buio della mattanza di creature che hanno lottato (2 maggio 1808) a Madrid per la loro libertà contro gli invasori francesi guidati dal fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte. Questi esemplari liberatori volevano 'liberare' la Spagna dall’oscurantismo, dalla superstizione e dalla tirannia. Le armi ed i morti sono le tragiche testimonianze di quanto è avvenuto e avviene nel mondo. Goya evoca una macabra notte che pervade tutta la storia dell’uomo. La sua pittura dimostra come l’umana ragione si abbrutisca nella più cruda violenza. È questa una testimonianza di grandissima moralità che fa volteggiare nell’anima una delle più atroci nottate della storia. L’incubo di questa immensa barbarie che Goya fissa nella coscienza del mondo si riaffaccia ad ogni generazione. Quella data non conta: è ogni giorno della storia. Quel luogo è ogni angolo della terra dove la vita e l’innocenza sono crivellati dall’odio. Quel popolo è reale, la Spagna del XIX secolo, ma è figura di coloro che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello (Apocalisse 7,14).

Goya è un tale genio che oltrepassa il campo specifico della sua arte. Egli giudica la storia dell’uomo con l’arcana potenza di una pagina biblica che accosterei al profeta Isaia, tant’è grande quel dettato che gli rugge dentro, come un leone che fa dileguare non il nemico occasionale ma l’orrenda seminagione del male. La sua pittura è un verdetto inappellabile che s’avventa contro le cause stesse che scatenano la tenebra immonda della guerra, dove l’uomo si imbestia a massacrare il fratello. La sua potente visione scende nell’abisso e vorrebbe, con infinita generosità, sradicare il male dal mondo. Quei fucilieri vanno inebriandosi del sangue delle vittime. Sono loro l’indistinta muraglia che frantuma quell’Innocente diga fatta di carne umana. Il plotone di esecuzione ne ricava una scellerata obbedienza e accanita giustificazione 'morale': massacrare il nemico. Quel giovane popolano inerme, invece, spalanca le braccia con la fierezza e l’eroismo personale e grida, a nome di tutti i tribolati della storia, la sua irriducibile e sconfinata vocazione alla vita. Egli nella sua lampante vigoria si getta contro la morte e l’ottusità di ogni regime che vive del terrore e della menzogna. Quella luce illumina la nostra notte e il sacrificio estremo di chi muore. Ma con lui muore anche la ragione che dovrebbe fare di ogni uomo una creatura libera che lavora per il bene del mondo. La follia della guerra trova in questa agghiacciante opera il suo più alto e macabro delirio. Si guardi ora la figura tremebonda e umanissima del frate che implora nel suo turgido saio di madreperla. Sul capo regna la tonsura, simbolo dell’obbedienza conclamata al Signore della vita. Prega per sé stesso nell’abbandono totale a Dio e specie per coloro che hanno la tenebra nel cuore e la stolta dimenticanza di obbedire al tiranno camuffato da benefattore invece che alla propria coscienza. La terra desolata inghiotte il sangue della povera gente con la testa fracassata e l’urlo dei condannati a morte trapassa la grande tela e si riverbera in questo tempo che minaccia d’essere il vanto atroce dello sterminio nucleare. Malgrado tutto, il vasto sapere di Goya brilla di speranza perché confida nel dono inestimabile del genio e dell’arte e cresce e si inonda nel vivo delle stagioni d’ogni tempo. A questa lancinante opera, a questo nostro tempo sciagurato di violenze inaudite, dedico questi versi:

Guerra

Se mai povera cosa scende traluce

in questo moribondo assalto novo

o nei giorni che più risplende il canto

quasi più tremula voce resta viva

nei ricordi tribbiati grossi da morte.

L’Anima cerca e la mano del cieco

e la tonante fiamma de la sua pietà

fraterna ora che tutto rovina l’odio

e il diabolico sogno distruttore

come se il nulla fosse qui bestiale

incanto e perverso e del genere

umano l’ultima orribile notte nera

l’assalto che tutto dissolve in cenere



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