giovedì 29 novembre 2018
Viennese ed ebreo per parte di madre, operando dal Lario truffò sistematicamente il Reich con forniture belliche fallate. Con i guadagni dava sostegno alla Resistenza
Norimberga, il führer Adolf Hitler alla parata del Terzo Reich nazista, nel 1935

Norimberga, il führer Adolf Hitler alla parata del Terzo Reich nazista, nel 1935

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Come prendersi beffa del signore della guerra, Adolf Hitler, e uscirne indenne. Questa è la storia di uno dei più colossali sabotatori della macchina bellica del Terzo Reich, che riuscì a neutralizzare una fornitura industriale, di rilevanza strategica, destinata dall’Italia alla Germania. Il suo nome è Aurelian Gombos e la sua vicenda, al limite dell’incredibile, può essere narrata grazie a un fascicolo che riemerge dall’Archivio di Stato di Como. Ingegnere industriale, antinazista, Gombos nacque a Vienna nel settembre del 1899, e nelle sue vene scorreva sangue ebraico, tramessogli dalla madre, Johanna David. Nel 1938, dopo l’Anschluss, ossia l’annessione dell’Austria al Reich, pensò bene di cambiare aria, trasferendosi in Italia, dove peraltro, nel frattempo, stavano entrando in vigore le leggi razziali volute da Mussolini. Rimpatriato a Linz, riuscì a eludere gli obblighi militari, rientrando nella Penisola nel 1942. Comincia qui la sua straordinaria avventura di protagonista nascosto di una vasta operazione di danneggiamento del potenziale militare e difensivo del Reich. Divenuto agente della Rosacometta di Milano, ancora oggi azienda leader a livello europeo nella fabbricazione e commercializzazione di impianti per la produzione di manu-fatti, Gombos riuscì a concludere un business di vaste proporzioni: la fornitura alla Germania di centinaia di blocchiere, vale a dire di centrali per la realizzazione di monoliti di calcestruzzo.

Il Reich aveva necessità vitale di queste apparecchiature industriali, soprattutto allo scopo di incrementare la costruzione di linee e postazioni fortificate, come i bunker. L’ingegnere austriaco concluse contratti per la consegna di 500 megaimpianti di betonaggio, ma, dopo aver fatto giungere celermente i pagamenti alla Rosacometta, organizzò il suo tradimento. Anzitutto, delle 500 macchine acquistate dal ministero della Produzione bellica tedesca, soltanto 220 furono effettivamente consegnate. Il sabotatore aveva organizzato l’operazione, con abilità e astuzia degne di un principe del doppiogioco. Fece in modo che nessun macchinario giunto in Germania funzionasse: fornì infatti dati tecnici errati, ad esempio sulla corrente dei motori. Poi, per impedire l’invio delle altre blocchiere, procurò alla Rosacometta partite di cuscinetti a sfera inadatti alla costruzione degli impianti. I dirigenti della fabbrica si accorsero dell’intrigo, ma si prestarono al gioco. Gombos, per mandare all’aria la fornitura, e non essere scoperto, evidentemente dovette contare su una vasta rete di complicità e di appoggi. Da dove gli venivano questi indispensabili sostegni? Il primo a chiudere en- trambi gli occhi, fu il generale renano Hans Leyers. Questi, ingegnere, era un uomo d’industria in uniforme. Antihitleriano convinto, nel 1943-45, durante la Repubblica di Salò, era il responsabile della Ruk ( Rüstung und kreigsproduktion), l’Ufficio centrale per gli armamenti e la produzione bellica presso la direzione amministrativa del generale plenipotenziario delle forze armate tedesche in Italia. Leyers era una personalità di riferimento, tanto degli Alleati, quanto di settori della Resistenza. Fu non soltanto sotto gli auspici del Generalmajor che Gombos poté agire in sicurezza, ma con ogni probabilità l’uomo d’affari austriaco ebbe dalla sua parte anche un avamposto, di fatto, angloamericano, come il Comando delle Ss di frontiera di Cernobbio, sul lago di Como. Lì operavano numerosi agenti doppi in uniforme nazista, impegnati, dall’autunno del 1944, a garantire la prosecuzione, senza intoppi, delle trattative tra le forze tedesche e gli Alleati, intavolate in Svizzera.

Gombos risiedette prima a Villa Ferranti di Blevio e poi nella splendida Villa Plinianina di Torno, entrambe sul Lario, e gli era indispensabile poter contare sull’ombrello protettivo delle Ss, che infatti finsero di tenerlo sotto controllo, per via di segnalazioni giunte al Comando di Cernobbio, ma con manovre diversive che non gli procurarono alcun danno. Intanto, il protagonista del raggiro poté continuare i suoi viaggi a Berlino. E proprio nella capitale del Reich, il 31 maggio 1944, si unì in matrimonio con la figlia ventisettenne del conte Josef Lamberg- Kunstadt, Eleonore, esponente di una delle dinastie più importanti dell’aristocrazia dell’ex Impero asburgico. Alla fine della guerra, Gombos venne arrestato con l’accusa di collaborazionismo, ma non gli fu difficile dimostrare di essere stato un nemico della Germania e dell’Asse, tanto da poter riguadagnare la libertà, già il 28 luglio 1945. Interrogato, durante la breve detenzione, dall’Ufficio politico della Questura di Como, dichiarò, in modo dettagliato i suoi finanziamenti alla Resistenza: «Circa le sovvenzioni che ho dato al movimento di Liberazione nazionale, preciso che ho versato centomila lire all’avvocato Luciano Ferioli di Milano, prima del 25 aprile scorso. Durante la rivoluzione [leggasi insurrezione, nda] ho dato 25 mila lire al Comitato di Liberazione di Torno, diecimila al capo partigiano di Torno per i suoi ragazzi, altre ottomila le ho spese per la riparazione della macchina che avevo prestato ai partigiani in occasione del movimento insurrezionale, e, infine, diecimila, quando la rivoluzione era finita, per un ballo di beneficienza. Ho sussidiato anche la signora Lisa Grunwald, con diecimila lire, perché potesse fare espatriare il marito ricercato in quanto ebreo». L’israelita austriaco era stato generoso pure con i poveri del paese di Torno, a favore dei quali donò 18 mila lire per l’acquisto di grano. Mise mano al portafoglio, sborsando 31 mila lire, per far riparare in un’altra occasione la sua vettura Fiat, che un «patriota» locale, “Fausto”, aveva fatto cozzare contro un muro. Di Gombos, dopo di allora, nulla si seppe più. Salvo che morì, nella sua Vienna, a 74 anni, il 4 settembre 1973.

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