giovedì 4 aprile 2019
Per la prima volta alla Final Four del celebre campionato universitario statunitense ci saranno anche due giovani promesse azzurre: Davide Moretti e Francesco Badocchi
Davide Moretti, 21 anni, protagonista con la squadra del college di Texas Tech

Davide Moretti, 21 anni, protagonista con la squadra del college di Texas Tech

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The big dance. Lo chiamano “il grande ballo”. Un rito a stelle e strisce che si ripete ogni anno in questo periodo. Una follia collettiva che contagia proprio tutti negli Stati Uniti, anche quelli che la palla a spicchi non la seguono certo tutti i giorni. Tutti pazzi per il basket, non quello blasonato dei professionisti dell’Nba, ma quello più verace dei college universitari. È la magia della Ncaa, il torneo che lancia le stelle del futuro, ma i cui eroi non necessariamente diventeranno giocatori, ma magari solo bravi medici, ingegneri o avvocati. È il bello di questa competizione pazzesca, non per niente la fase finale è chiamata March Madness (“follia di marzo”). Nonostante gli scandali degli ultimi anni (legati al giro d’affari cresciuto intorno al sistema), la Ncca gode ancora di tanto seguito popolare, come testimonia la grande copertura mediatica. Sarà anche il legame molto stretto con il territorio per un campionato che mette in ballo oltre 300 squadre che diventano 68 nella March Madness. Ma in fin dei conti la pallacanestro è nata proprio in un ateneo, lo Springfield College in Massachusetts. Il rettore voleva che i suoi ragazzi facessero sport anche quando fuori nevicava e incaricò l’eclettico professore James Naismith di inventarsi un gioco in aula magna. Era una sera d’inverno del dicembre del 1891 quando il docente alzò la prima palla a due della storia (un pallone di calcio peraltro) in un’area delimitata da una parte all’altra da due cesti di vimini, i primi rudimentali canestri (quando la palla entrava si usava una scala per riprenderla).

Forte di una tradizione così importante e ancora lontana dal divismo dell’Nba, la Ncaa porta alla ribalta ogni anno i protagonisti più imprevedibili. E il livello di suspense è molto alto perché le sfide a eliminazione diretta riservano sempre non poche sorprese. Scommettere sulla composizione finale del tabellone ( bracket) è diventata una passione irrinunciabile anche per i politici, al pari forse del nostro Fantacalcio. Ma indovinare le Cinderellas, le “Cenerentole”, che continuano a ballare nonostante tutti i pronostici è davvero molto difficile. Chi l’avrebbe mai detto per esempio che le favole regalateci quest’anno dalla March Madness avrebbero avuto tinte felicemente azzurre? E invece per la prima volta nella storia, alle Final Four Ncaa (in programma questo fine settimana) ci saranno due italiani: Davide Moretti e Francesco Badocchi. Il 21enne bolognese Moretti, figlio d’arte di papà Paolo (vincitore di tre scudetti con la Virtus e argento europeo negli anni Novanta), è stato il grande protagonista della cavalcata di Texas Tech University che in semifinale affronterà Michigan State. Il suo coetaneo, l’italoamericano Badocchi, nato a Milano da papà italiano e madre afroamericana, che ha vissuto l’adolescenza a Cernusco sul Naviglio giocando sia nelle giovanili dell’Olimpia che nelle Nazionali fino all’Under 17, è oggi nel roster di Virginia University, grande favorita alla vittoria finale (in semifinale se la vedrà con Auburn un’altra rivelazione).

Moretti ha commosso gli States anche grazie a un video che spopola sul web con la visita a sorpresa, durante la riunione della squadra, di mamma Mariolina, papà Paolo e suo fratello 14enne Niccolò a cui è molto legato. «La mia famiglia è tutto. Io gioco per i compagni e per loro. Vederli qui mi ha dato una carica speciale» ha spiegato Davide. Letale in campo soprattutto nei momenti clou, Moretti aveva già incantato in A2 a Treviso. Cresciuto a Pistoia e Bologna, ha colto al volo l’opportunità di varcare l’Oceano. «Potevo restare a Treviso per iniziare una carriera da professionista in Italia, ma da noi se non sei pronto subito non ti fanno giocare. E io non mi sentivo pronto. Qui invece ti permettono di crescere e migliorare » ha ammesso candidamente mettendo il dito in una delle piaghe della nostra pallacanestro sempre più esterofila. Si è preso allora la ribalta negli States, concedendosi con la sua Texas Tech di far fuori anche compagini più accreditate come Gonzaga, il college gesuita che porta il nome del famoso santo italiano del Rinascimento, Luigi Gonzaga. L’altra grande novità di quest’anno è proprio l’eliminazione degli atenei cattolici (sempre protagonisti nonostante un numero di iscritti nettamente inferiore a quelli statali). Almeno in campo maschile, visto che le campionesse di Notre Dame, università dell’Indiana fondata da un sacerdote della Congregazione di Santa Croce, sono di nuovo alle Final Four e puntano al bis. Hanno invece abdicato tra gli uomini i campioni in carica di Villanova, il piccolo college della Pennsylvania fondato dai padri agostiniani, vincitori di due titoli Ncaa negli ultimi tre anni (2016 e 2018). Perfino il New York Times lo scorso anno si chiese come mai le università cattoliche siano così vincenti.

La risposta è nel secolare lavoro di evangelizzazione degli ordini missionari che hanno dato un impulso decisivo al basket americano facendone anche un veicolo di formazione e integrazione degli immigrati europei e degli afroamericani stessi (quando ancora erano ai margini delle squadre cestistiche). L’anno scorso a prendersi tutte le copertine d’America della March Madness è stata la simpaticissima Sister Jean, la suora 99enne (che il 21 agosto spegnerà 100 candeline) che assiste spiritualmente e sportivamente il Loyola Chicago. Tifosa competente e sempre presente a bordo campo, nel 2018 la religiosa ha accompagnato l’entusiasmante cammino dell’ateneo gesuita fino alla Final Four a cui non approdava da ben 33 anni. Quest’anno invece il Loyola è uscito troppo presto fuori dai giochi. Ma Sister Jean l’ha presa con grande sportività: «È difficile essere Cenerentola per due anni di fila». E continua a spronare i suoi ragazzi ricordando loro la partita più importante da vincere e la sconfitta peggiore da evitare: «Non puoi perdere la fede. Se perdi la fede, allora perderai la speranza; e se perdi entrambe, probabilmente perderai anche l’amore».

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