venerdì 20 giugno 2014
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​Bene gli sconti, bene la gratuità, ma meglio ancora le aperture serali, il ripensamento dei percorsi espositivi, la possibilità di tornare più volte nello stesso museo. È l’opinione del filosofo Sergio Givone, fino a pochi giorni fa assessore alla Cultura del Comune di Firenze. «Il pericolo da evitare – spiega – è che i musei italiani diventino gallerie per turisti o, peggio ancora, mete obbligate su cui piantare la bandierina a tutti i costi, senza apprezzare veramente quello che si sta ammirando. Un museo è un luogo di studio, non la tappa in un tour».Le sembra che l’iniziativa del ministro Franceschini vada in questa direzione?«Direi di sì, anche se il nodo da sciogliere rimane quello della direzione, che dal mio punto di vista deve essere affidati a studiosi competenti. Affiancati magari da manager capaci, su questo non si discute. Ma un appiattimento del museo sul modello aziendale sarebbe un danno per tutti».E la strada da seguire quale sarebbe?«Se parliamo di un luogo di studi, dobbiamo rifarci all’esempio delle biblioteche. Ho in mente il caso delle Oblate, la più grande biblioteca pubblica di Firenze, che da alcuni anni ha ampliato l’orario di apertura e moltiplicato le occasioni di dibattito e d’incontro. Il risultato è che oggi molti giovani la considerano, con naturalezza, un punto di ritrovo».

L’obiezione è che in biblioteca ci sono libri, non quadri...«Ma in un museo ci sono le stampe, non solo i dipinti. Perché non immaginare sezioni ispirate alla logica dello “scaffale aperto”, dove studiosi e studenti possano prendere l’abitudine a confrontarsi? Quello che più mi ha impressionato, nel periodo in cui ho ricoperto il ruolo di assessore, è stato il rendermi conto di come piccole iniziative siano in grado di produrre grandi cambiamenti. Il nostro rapporto con la tradizione culturale e con il magnifico patrimonio artistico del Paese è tutt’altro che affievolito. Abbiamo solo bisogno di rinnovarlo con creatività ed entusiasmo».Per questo occorre investire sui giovani?«Ho già superato i 65 anni e quindi posso permettermi una battuta impopolare: è meglio, anzi è più giusto che a pagare il biglietto siano gli anziani. Conosciamo molto bene il paradosso italiano, per cui le generazioni più mature godono di una maggior tutela rispetto ai giovani. Oltretutto, chi ha più anni e più esperienza è in grado di capire che un contributo economico rappresenta una forma di valorizzazione del bene di cui si va ad usufruire. Quello della gratuità, a questo punto, diventa un falso problema».Su che cosa si dovrebbe intervenire, allora?«Anzitutto sull’organizzazione interna dei musei, che oggi ha una struttura troppo rigida. La proposta di percorsi tematici differenziati renderebbe la visita più agile e vivace. Al posto del biglietto gratuito, poi, sarebbe più utile introdurre un “biglietto aperto”, che permetta di tornare più volte al museo. Per non illudersi di aver già visto tutto, e per riscoprire il piacere dello studio e della bellezza».

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