Cercate un esempio di rigore? Bene, al Lingotto lo spazio della Germania, ospite d’onore a questa edizione del Salone del Libro, è concepito come una piazza. E all’architettura e all’immaginario delle piazze è dedicata, con teutonica coerenza, la selezione bibliografica che fa bella mostra di sé in mezzo alle LetteraTorri, svettanti totem sui quali i visitatori sono invitati a dire la loro a proposito dell’Italia.Paese meraviglioso, assicurano i messaggi continuamente aggiornati, anche se trovare parcheggio è un’impresa e le feste di matrimonio durano fino a tarda notte. In compenso, non si fa mai fatica a recuperare qualcosa da mangiare. «Ma questi sono solo luoghi comuni – assicura Susanne Kolb, coautrice per Zanichelli del più aggiornato dizionario di tedesco oggi disponibile –. In realtà la cultura italiana è molto amata in Germania, e anche i corsi di lingua attirano sempre molti studenti. Persone di tutte le età, dai giovani universitari fino agli anziani che stanno progettando la loro versione del Grand Tour. Quello che manca, purtroppo, è il coinvolgimento delle istituzioni. Non esistono politiche pubbliche per la traduzione delle opere italiane, che tuttavia in Germania restano al quarto posto quanto a importazione di titoli. Di recente, inoltre, sono stati chiusi diversi Istituti di cultura italiana, la cui attività era invece decisamente stimata».Considerazioni analoghe si possono applicare alla situazione dei rispettivi mercati editoriali. Quello tedesco – ha annunciato con legittimo orgoglio il direttore della Buchmesse di Francoforte, Juergen Boos – si conferma come il più importante d’Europa e, su scala mondiale, è ormai secondo solo a quello in lingua inglese. A dispetto di ogni congiuntura, il fatturato del libro tedesco continua ad aggirarsi sui 10 miliardi di euro, contro il miliardo abbondante registrato lo scorso anno in Italia. Da noi, insomma, si fatica ancora a uscire dalla crisi, come dimostrano i dati relativi ai primi mesi del 2015 diffusi ieri dall’
Associazione italiana editori. Ancora non si guadagna, ma almeno si perde di meno (-2,6%, rispetto al 4,9% dello stesso periodo del 2014).Come nel resto del mondo, i risultati più incoraggianti vengono dalla letteratura per i ragazzi, che da noi è in crescita addirittura del 6,4%, ma il vero colpo di scena arriva dal fronte delle librerie. Migliorano del 2,6% le indipendenti, reggono il colpo quelle di catena (-3,9%), mentre la cosiddetta grande distribuzione organizzata, la leggendaria Gdo che pareva dettare legge fino a qualche anno fa, subisce una specie di tracollo (-14,8%). Sia pure da punti di vista molto differenti, un protagonista delle concentrazioni editoriali come Stefano Mauri di GeMS e un raffinato outisider come Sandro Ferri di e/o esprimono valutazioni abbastanza concordanti: è finita l’epoca dell’acquisto di impulso, i best seller arraffatutto sono un ricordo del passato, bisogna tornare a ragionare in termini di qualità, interrogandosi su un nuovo sistema.I tedeschi ovviamente un sistema ce l’hanno già, e ne vanno fieri. È il
Literaturbetrieb, il «comparto letterario» che sostiene gli autori anche più impegnativi con premi e borse di studio, facendo leva su un pubblico consapevole ed esigente, ben disposto a pagare una decina di euro per assistere a un
reading di poesia. «Funziona ancora così – dice la scrittrice Helena Janeczek – e anche questo è il sintomo di un Paese molto forte sul piano economico. Ma bisogna vigilare perché la logica del mercato non finisca per imporsi in modo unilaterale. Fino a non molto tempo fa in Germania non era raro trovare nelle classifiche dei libri più venduti anche romanzi molto sofisticati. Capita ancora, ma i titoli più smaccatamente commerciali stanno conquistando sempre più spazio. In questo, a mio avviso, la distanza con l’Italia si sta accorciando, e anche abbastanza rapidamente».Meno di quanto si potrebbe, ma i nostri autori continuano comunque a essere apprezzati in Germania. Parola di Jo Lendle, pregevole narratore in proprio oltre che attuale direttore di Hanser, una delle più influenti case editrici tedesche. «In catalogo abbiamo Primo Levi, Claudio Magris, Antonio Tabucchi, Roberto Saviano, Umberto Eco... – elenca con entusiasmo –. Anzi, il salto di qualità della Hanser coincide proprio con l’edizione tedesca del
Nome della rosa, uscita nel 1992. Oggi come allora, il flusso delle traduzioni dall’Italia alla Germania e viceversa è rimasto in sostanziale equilibrio. A cambiare, negli ultimi tempi, sono stati semmai i nostri interlocutori. Prima della crisi erano i grandi gruppi editoriali italiani a investire nelle traduzioni dal tedesco. Adesso, salvo eccezioni, le più attive sono realtà di piccole e medie dimensioni, che si muovono in una logica di ricerca».Sarà un caso, ma sembra l’identikit di Keller, sigla-laboratorio che da Rovereto ha messo a segno nel 2009 la pubblicazione del premio Nobel Herta Müller, approfittando di quella occasione per ampliare e intensificare la propria produzione. Non si guarda solo alla Germania, d’accordo, ma da quello che in Germania accade non si staccano mai gli occhi. «La cultura tedesca sta vivendo un momento molto particolare – spiega il fondatore Roberto Keller –. Si è ormai affermata una prospettiva multiculturale che influenza in modo sempre più evidente la letteratura. La quale, a sua volta, sta elaborando una mediazione tra Est e Ovest d’Europa, tra Nord e Sud del mondo. Nel nostro piccolo, stiamo cercando di far conoscere tutto questo al lettore italiano, riscontrando un interesse che finora premia ampiamente gli sforzi. Anche perché le librerie indipendenti iniziano a conoscerci, consigliano i nostri libri, riassortiscono il catalogo».Importa quanto si legge, quindi, ma d’ora in avanti, forse, sarà sempre più decisivo il percorso che si compie per arrivare alla lettura. In Germania, ormai, le rilevazioni statistiche non si fermano al dato quantitativo e cercano piuttosto di ricostruire le abitudini del pubblico. Tanto per citare un dato, si è scoperto che più del 20% dei tedeschi sopra i 14 anni legge solitamente alla sera, anziché dedicarsi ad altre attività. Non è disponibile, questa volta, la comparazione con l’Italia. E probabilmente è meglio così.