mercoledì 12 ottobre 2016
A Lecceto di Malmantile decine di anacoreti si sono ritrovati per confrontare le proprie esperienze: tutti vengono quotidianamente cercati da persone sofferenti nel corpo e nello spirito, divenendo “soccorritori” come sant’Antonio «Cercano speranza, hanno bisogno di parlare».
 EREMITI inseguiti dal mondo
COMMENTA E CONDIVIDI
Se è tempo di caos è tempo di eremiti. Gente che non fugge la realtà, ma desidera viverla nella sua essenza e in piena relazione con essa. Come alla fine del III secolo, quando in Egitto comincia con sant’Antonio Abate la grande storia degli eremiti cristiani e nel redigere la sua biografia (nell’anno stesso della morte, il 356) il vescovo di Alessandria Atanasio sottolineava che viveva nel deserto separato dal mondo «ma con esso in costante relazione». Da quella Vita Antoniiemerge un monaco e maestro che traccia il cammino della vita cristiana e aiuta il prossimo a metterlo in pratica. Un uomo che dialoga con Dio ed è capace di far assaporare agli altri le sensazioni di questa sua intima relazione. Nei giorni scorsi nell’ex eremo domenicano di Lecceto di Malmantile, oggi casa di accoglienza e di preghiera dell’arcidiocesi di Firenze tenuta dai padri Sacramentini, si sono ritrovati una ventina di eremiti provenienti da Nord e Centro Italia. Un piccolo gruppo in rappresentanza dei circa trecento (ma è difficile censirli tutti) uomini e donne che nel nostro Paese hanno scelto di condurre questa particolare esperienza religiosa. Tre giorni di preghiera, di scambio di esperienze e di approfondimenti biblici guidati da don Antonio Montanari, direttore del Centro studi di spiritualità della Facoltà teologica del Nord Italia ed ex abate del monastero trappista di Frattocchie nei pressi di Roma. Certamente stupisce, parlando con loro, la sovrapponibilità delle esperienze con quella di Antonio. E ancor di più fa riflettere il fascino e la forza di attrazione che emana dalla loro scelta di vita. In qualunque luogo vivano e qualunque mestiere facciano per vivere. Perché ce ne sono che abitano in baite o antichi alpeggi sperduti fra le montagne, ma anche chi ha scelto di trasformare in luogo di preghiera e di silenzio un appartamento di città, oppure una piccola casa di periferia o di paese. C’è chi vive solo di carità, chi fa un mestiere regolare o part time, chi si sostiene facendo il contadino o l’artigiano, chi scrive icone. Tutti, come Antonio (costretto spesso a cambiare l’eremo in cui si era ritirato), vivono l’esperienza quotidiana dell’essere cercati dalla gente. Come da lui anche da loro vanno i sofferenti nel corpo e nello spirito, chi ha perduto il senso della vita e vuole ritrovarlo, chi è deluso dal rumore della “civiltà” (ai tempi di Antonio, Alessandria d’Egitto era una metropoli multietnica, ai vertici per cultura, per ricchezza e per contraddizioni) e cerca nuove motivazioni nel silenzio. Anche loro come Antonio sono il soccorritore perfetto, colui che trasforma il deserto e ogni spazio buio e ostile (dentro e fuori dell’anima) in uno spazio illuminato e reso vivo dalla luce di Cristo. Pierluigi Calabrese è stato ricercatore di Filologia medievale a Milano e Torino. Oggi è in pensione e da anni vive da «eremita diocesano » come ama definirsi, in un appartamento di Saluzzo in provincia di Cuneo. Come Antonella Lumini, che lavora alla Biblioteca Nazionale di Firenze, è un eremita di città. «Siamo un centinaio in tutta Italia – dice – e il nostro compito è di essere per la Chiesa quello che un tempo era il servus lampadarius per il suo padrone: fare luce e illuminare la strada. Nessuno di noi fugge dalla realtà. Ci immergiamo in essa perché, non è un paradosso, la nostra comunità religiosa è la gente e alla gente offriamo il chiostro aperto del nostro cuore». Accanto a Pierluigi, sotto il loggiato del chiostro dell’eremo di Lecceto, c’è suor Paola Bellin che con una consorella (si chiamano monache eremite di Santa Maria degli Angeli) vive in un eremo a Colle San Paolo in Umbria. Anche lei spiega la vocazione con parole analoghe, arricchite di evidenti tratti mistici: «Il nostro ruolo è entrare nel cuore di Cristo e da lì raggiungere il cuore delle persone». E don Carlo Prezzolini, ex parroco di Monticchiello, che da tempo vive in eremitaggio in una casetta con foresteria (per l’accoglienza) a Saragiolo, frazione di Piancastagnaio (Siena), dove tiene gruppi di ascolto del Vangelo e di approfondimento su arte e Sacre Scritture, aggiunge: «L’eremita vive una realtà marginale per proporre a tutti una strada capace di andare oltre il limite, al di là dell’orizzonte».  Oltre il limite, se così si può dire, vive suor Paola Biacino. In montagna, a mille metri, sopra Bagnolo (Cuneo), in una minuscola baita di pietra che misura tre metri per tre, visitata dai lupi nelle notti d’inverno e di giorno da cervi e caprioli. «Quando c’è la neve trascorro settimane senza vedere nessuno, tranne gli animali selvatici», racconta con un sorriso e una vitalità davvero contagiosi. Ogni giorno, con qualunque tempo, si alza alle tre di mattina. Si sposta in una minuscola cappella che ha sistemato lei stessa in accordo col vescovo, dove si conserva il Santissimo, e qui prega fino alle 8 «cantando [lo dice con una grande gioia, ndr] tutta la liturgia del notturno». Suor Paola si è sposata a 17 anni, ha avuto tre figlie (35 anni la più piccola), ora ha quattro nipoti. Quando il suo matrimonio è stato annullato e le figlie sono diventate autonome, ha prima cercato la clausura, poi ha capito che la sua vocazione era la preghiera nella solitudine. Del tutto casualmente ha scoperto il luogo dove vive sentendolo subito come suo. Oggi, questa baita dispersa fra le montagne, è meta di tanta gente al punto che suor Paola ha dovuto sistemare un’altra piccola casa nelle vicinanze per offrire un minimo di accoglienza. «L’anno scorso – dice – sono salite qui un migliaio di persone. Quest’anno anche di più. Cosa cercano? Speranza. Hanno solo bisogno di parlare, di confrontarsi. A volte desiderano avviare un percorso più lungo per una vera e propria rilettura della vita. Ci sono i disperati, i delusi dalla vita. Anche coppie che vengono con la speranza di ricominciare. Così, ora seguo tante famiglie, anche gruppi di giovani. E io che ero madre di tre figlie mi trovo a esercitare una maternità allargata a dismisura. Del resto mi sono convinta che l’eremita è tale nella misura in cui lo cercano». Per vivere ha scelto di affidarsi alla Provvidenza. Lo ha capito subito, la prima sera in baita, quando un frate si è presentato alla sua porta portandole la cena. «Da quel momento ho sempre avuto da mangiare. La gente mi regala tante cose che a volte sono costretta a donarle per i poveri». Così nell’eremo di suor Paola cibo e persone non mancano mai. Finita la preghiera del mattino si dedica all’accoglienza. Fa da mangiare per i suoi ospiti. Alle 12 va a Messa in un convento non molto distante. Poi si immerge nelle storie delle persone. In inverno, quando non c’è nessuno, si dedica a una passione: scrivere icone.  Anche L.G. Religiosa, che da anni col permesso del vescovo vive da eremita nei pressi di un’antica chiesa in Val Camonica scrive icone e accoglie persone. Un minimo di accoglienza la fa anche suor Patrizia che vive a Buto, in Val di Vara, nei pressi di Varese Ligure e coltiva frutti di bosco. Don Domenico Poeta accoglie a Ponte D’Arbia (Siena) i pellegrini sulla Francigena e parla del desiderio di silenzio, preghiera e incontro con Dio che anima queste persone che vengono da tutta Europa. Don Raffaele Busnelli, invece, nell’alpeggio a mille metri in Val Varrone sopra Lecco, che ha risistemato con le sue mani, alleva asini, coltiva l’orto difendendolo dai cinghiali e da un orso che lo visita di tanto in tanto, lavora il legno in un piccolo laboratorio di falegnameria e fa il muratore e il carpentiere per chi ha bisogno di aiuto. Ha 44 anni, è entrato in seminario a 19, da prete ha lavorato in parrocchia a Treviglio e Cologno Monzese. La strada dell’eremitaggio l’ha scelta dopo essersi confrontato col suo vescovo di allora, il cardinale Martini. Il suo eremo, lontano da tutto, è meta continua di persone e lui ha dovuto sistemare un’altra casa per accoglierle: «Quando ho deciso di allontanarmi dal mondo, il mondo ha cominciato a cercarmi ». Come Antonio, 1700 anni dopo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: