mercoledì 10 luglio 2019
Guida della Chiesa di Trento fra il 1904 e il 1940, confinato dagli austriaci durante la Grande Guerra, ammirato da Montini e De Gasperi, alfiere dell’associazionismo cattolico...
Il ritratto di monsignor Celestino Endrici realizzato nel 1905 da Giovanni Battista Chiocchetti (Wikimedia Commons)

Il ritratto di monsignor Celestino Endrici realizzato nel 1905 da Giovanni Battista Chiocchetti (Wikimedia Commons)

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Un prelato singolare che si comincia a conoscere meglio, anche nell’ultimo periodo della sua vita lungo il quale, sebbene segnato dalla malattia, non fece mancare vibranti interventi. Un uomo di Chiesa in movimento lungo terre di confine, il Trentino e parte del Sud Tirolo, che ha attraversato quasi la metà di due secoli, il XIX e il XX. Un vescovo che ha conosciuto il primo conflitto bellico mondiale e se n’è andato al deflagrare del secondo. Parliamo di Celestino Endrici, nativo di Don, in Val di Non, classe 1846, studi superiori presso il Collegio Germanico e la Gregoriana a Roma, ordinato sacerdote nel 1891 e trovatosi a guidare dal 1904, a trentasette anni, la diocesi di Trento, allora 560.000 anime sparse in ventinove decanati di lingua italiana, sette di lingua tedesca e tre mistilingui; solo nel ’64 sarebbe stata creata la diocesi di Bolzano-Bressanone, con l’annessione dei decanati di lingua tedesca e mistilingue sino quel momento dipendenti dalla diocesi di Trento. Un vescovo, si è s’è detto, singolare. Particolarmente per due motivi. Il primo, perché durante la Grande Guerra fu persino confinato per i sentimenti filoitaliani in un’abbazia a Heiligenkreuz, nei pressi di Vienna: una «prigionia», tale la definì, diventata segno di riconoscimento del suo carattere ben palesato anche nei confronti con i totalitarismi del suo tempo 'visti da vicino', il fascismo e il nazismo razzista. Il secondo, perché è stato l’ultimo vescovo a potersi fregiare, su nomina dell’imperatore Francesco Giuseppe, del titolo di 'principe' della terra trentina. Endrici, però, fu principe anche «nel senso etimologico della parole, poiché nei momenti più avventurosi di questa terra travagliata tutti guardarono a lui come il primo e sentirono che egli li rappresentava, li guidava e li proteggeva» come riportava 'L’Osservatore Romano' alla sua morte, il 29 ottobre 1940, a Trento, in un pezzo siglato A. e ascrivibile con certezza ad Alcide De Gasperi che lo ripubblicò sulla rivista 'Studium' nel ’53. E parole quasi simili, «guida, maestro e padre», furono quelle usate in quella circostanza dal futuro Paolo VI, Giovanni Battista Montini, al tempo in Segreteria di Stato insieme a Domenico Tardini pronto a collocare Endrici «per la sua instancabile attività pastorale tra i più illustri rappresentanti dell’Episcopato cattolico».

Alla figura di questo prelato sempre accanto alle sofferenze del suo popolo, tenace mediatore fra i partiti cattolici di orientamento conservatore e cristiano sociale, un presule insofferente verso lo statalismo austriaco e le sue intromissioni ecclesiali, alfiere dell’associazionismo cattolico, difensore del clero tedesco vessato dalle autorità fasciste contro le quali nel ’31 alzò la sua protesta e che già nel ’27 chiedevano il suo allontanamento quale «atto di forza e nello stesso tempo di giustizia risoluta» che doveva fare «da monito esemplare», oppositore dell’ideologia nazista per l’inconciliabilità tra religione della razza e cristianesimo, è ora dedicato il volume di Luigi Bressan Celestino Endrici contro il Reich. Gli archivi svelano (Athesia, pagine 352, euro 30). Aperta da una prefazione di Josef Gelmi, un’introduzione dell’autore, un testo di Marco Zeni, corredata da decine e decine di documenti, parecchi inediti, è un’opera che colma alcune lacune e rilegge alla luce di dettagli non irrilevanti (specie se messi in relazione con altri documenti), la posizione del vescovo trentino e dei suoi immediati collaboratori (prima monsignor Enrico Montalbetti, poi l’ausiliare Oreste Rauzi), soprattutto circa due tematiche. Innanzitutto la propaganda nazista in Alto Adige mirante «a costituire la razza pura» attraverso procedimenti aberranti «insulto alla dignità umana, quale la sterilizzazione dei più deboli», come Endrici scrive nella sua lettera pastorale il 21 gennaio ’34: una propaganda «subdola », dalla quale inviterà sempre tutti a difendersi, spingendosi a incaricare - come scrive il 29 aprile ’38 al cardinale Eugenio Pacelli futuro Pio XII -«un sacerdote autorevole dell’Alto Adige di animare i curatori d’anime a fondare delle cellule antinaziste». Quindi la vicenda delle 'Opzioni' cui vennero costretti i sudtirolesi dall’Accordo di Berlino fra Hitler e Mussolini, definite un «progetto di deportazione » contro il diritto a restare nella terra degli avi, con l’ulteriore sofferenza provocata dall’atteggiamento del vescovo di Bressanone Johannes Geisler a favore della Germania e contrastante con parte del suo clero («opzione inattesa dalle popolazioni» recante «non lieve danno alle anime », scrive Endrici al Segretario di stato Luigi Maglione, il 9 luglio ’40).

Non è tutto. Bressan, arcivescovo emerito di Trento, già in servizio diplomatico e nunzio, da tempo in familiarità con la ricerca storica, riporta in appendice al suo volume dove analizza e interpreta testi rintracciati in tanti archivi (missive riservate al clero, ai parroci altoatesini, a Pio XI, ai cardinali Maglione o Pacelli, relazioni, più d’un memorandum ecc.), due rilevanti documenti sui quali invita a sostare. Il primo è una lettera di sedici pagine inviata a Endrici dal conte Dietrich Wolkenstein-Trostburg da Castel Toblino il 16 febbraio ’34 su quanto avveniva in Alto Adige; il secondo è la circolare di Endrici del 19 gennaio ’38 dove tra l’altro si legge «Proprio nella dichiarazione della razza come massimo valore si trova l’errore fondamentale della nuova dottrina […], si promuove la subordinazione della religione alla razza, il che si traduce nell’annientamento dei fondamenti della religione». Di lì a poco anche in Italia, per volere di Mussolini, le leggi razziali: i treni per i lager erano già pronti.

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