sabato 31 dicembre 2016
L’ultima “riscrittura” riguarda la pallacanestro, con cinque titoli revocati alla Mens Sana Siena per le acrobazie di bilancio della società Calcio, ciclismo, pallavolo...
Quelle caselle vuote nell’albo d’oro
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Una sentenza, un colpo di spugna e, di conseguenza, la damnatio memoriae. Pazienza se, poi, la situazione è più complessa, ma quello che resta è uno spazio vuoto, una ferita in quello che nasce per tramandare ai posteri la gloria dei migliori: l’albo d’oro. Il caso più recente, in ordine cronologico, riguarda il basket e la sentenza con cui il tribunale federale della Fip ha revocato alla Mens Sana Siena cinque titoli conquistati nelle stagioni 2011-2012 e 2012-2013, cancellando così due scudetti, altrettante Coppe Italia e una Supercoppa. Successi evaporati, la grande dominatrice della pallacanestro nostrana dell’ultimo decennio privata degli ultimi successi di un’era irripetibile.

L’inchiesta da cui tutto è partito, denominata Time out, ha indagato sui conti e sulle acrobazie di bilancio della società, poi fallita, e ha passato le carte alla giustizia sportiva che ha ravvisato, attraverso i bilanci non veritieri, la violazione dei principi di lealtà e correttezza per conseguire un illecito vantaggio. In fondo, allo sport italiano, mancava solamente un buco nella bacheca della pallacanestro, perché altrove non ci si è fatti mancare nulla, quasi a voler smitizzare il principio decoubertiniano che antepone alla vittoria l’idea di una disputa leale. Difficile, in questo senso, non ripensare a quanto accadde dieci anni fa, quando lo scandalo di Calciopoli intaccò un albo d’oro che non subiva modifiche ex post da circa ottant’anni, da quando cioè, nel 1927, al Torino venne revocato lo scudetto per il “caso Allemandi”, un tentativo di corruzione, invero piuttosto maldestro, che fa sorridere rispetto alle miserie etiche esperite successivamente dal mondo del calcio.

Nel 2006 fu la Juventus ad essere depennata dal palmarès per due scudetti che i tifosi bianconeri, e la stessa società, ancora si intestano, ma di fatto restano il primo revocato e il secondo assegnato a quell’Inter per la quale cinque anni più tardi Stefano Palazzi, il medesimo procuratore federale che aveva chiesto e ottenuto la revoca dei titoli vinti dai bianconeri, aveva ravvisato (virtualmente, trattandosi a quel punto di reato prescritto) pratiche non esattamente probe. In Europa, situazioni simili non mancano: il caso Valenciennes che in Francia, nel 1992-1993, ribaltò l’orizzonte del Marsiglia di Tapie inserendo una casella vuota nell’albo d’oro della Ligue 1, o l’inchiesta “Apito dourado” (fischio dorato) emerso in Portogallo nel 2004. Coinvolse pesantemente il Porto, non riscrisse il palmarès ma minò la credibilità del movimento. Questo per rimanere all’élite, perché scendendo di categoria si rischia di perdersi fra promozioni annullate e retrocessioni inflitte d’ufficio per un campionario di illeciti monumen-tale: calcioscommesse, corruzione, evasioni fiscali, tesseramenti irregolari.

A proposito: proprio un tesseramento irregolare (il “caso Pirv”) è alla base della revoca dello scudetto italiano 2000-2001 della pallavolo femminile, vinto sul campo da Reggio Calabria ma sbianchettato dalle istituzioni della pallavolo dopo una polemica durata alcuni mesi e conclusa dalla giustizia sportiva con una decisione sino ad allora inedita sotto rete. Martoriati sono gli albi d’oro del ciclismo, e qui si parla di doping. Il Giro d’Italia ha sostituito il nome del reprobo Contador, nel 2011, con quello di Michele Scarponi, mentre il Tour de France ha depennato Lance Armstrong e i suoi sette sigilli, quindi Floyd Landis e ancora Contador quattro anni più tardi: di dodici Grande Boucle disputate dal 1999 al 2010, sette non hanno un vincitore e due hanno visto la classifica riscritta ornando, senza festeggiamenti, le bacheche di coloro che erano saliti sul secondo gradino del podio. Si salva la Vuelta (sebbene nel 2005 Heras venne privato di un titolo che poi gli fu riassegnato) e le grandi classiche, pure in un clima di sospetto perenne. Un discorso, questo, che vale anche per l’atletica e il nuoto.

Cinesi e russi in era recente, o in un passato nemmeno molto remoto nomi altisonanti Ben Johnson o Marion Jones: privati degli allori al contrario, ad esempio, di una Šarapova sui cui titoli, dopo l’ammissione sull’utilizzo del meldonium, aleggiano sinistre nubi, o degli olimpionici della Germania Est per i quali fu confermato il doping di Stato ma che hanno mantenuto record e medaglie. Perché, per quanto triste sia constatarlo, a volte chi resta nell’albo d’oro non è il più retto, ma semplicemente uno che non è stato (ancora) scoperto.

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