venerdì 28 febbraio 2020
Anna Vanzan: «Tra le maglie del regime patriarcale crescono il dissenso e un fronte femminista interno alla religione, favoriti dall’alto grado di istruzione che dà luogo a profonde contraddizioni»
Studentesse a Teheran: oggi le donne costituiscono il 65% degli universitari del Paese e sono presenti in tutti i settori professionali

Studentesse a Teheran: oggi le donne costituiscono il 65% degli universitari del Paese e sono presenti in tutti i settori professionali - Reuters/Morteza Nikoubazl

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Le ultime sono state Gelare Jabbari, Zahra Khatami e Saba Rad, le tre giornaliste della televisione di Stato iraniana che poche settimane fa, a seguito della tragedia dell’areo ucraino abbattuto per errore, hanno dato le dimissioni, esasperate per aver dovuto sopportare «anni di bugie». Ma i loro giovani volti incorniciati dall’hijab si affiancano a quelli di una schiera di altre donne coraggiose che, nel Paese degli Ayatollah, non smettono di alzare la voce contro un regime tirannico, spesso pagando con la propria libertà. Come la ventenne Saba Kord Afshari, condannata a 24 anni di carcere per essersi tolta il velo in pubblico durante le proteste di piazza dei “Mercoledì bianchi”. O l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh, che nel 2012 aveva ricevuto dal Parlamento europeo il premio Sakharov per la libertà di pensiero e a cui il regime ha invece inflitto la pena senza precedenti di 38 anni di carcere e 148 frustate per aver difeso detenuti politici e, in particolare, proprio le manifestanti contro l’obbligo del velo. Ma a marcire in galera, nonostante le gravi condizioni di salute, è anche Narges Mohammadi, la vicepresidente del Defenders of Human Rights Center guidato dal premio Nobel per la pace in esilio Shirin Ebadi. E l’elenco purtroppo sarebbe lungo. «Rispetto ad altri contesti mediorientali pur critici sul fronte dell’emancipazione femminile, le iraniane vivono in un sistema patriarcale sancito dalla stessa Costituzione, eppure hanno avuto una reazione forte, indomita, che ha saputo declinarsi in forme molteplici, dall’impegno nella società civile, all’attivismo politico fino alla ricchissima produzione artistica ».

A sottolinearlo è Anna Vanzan, iranista che all’altra metà del mondo persiano ha dedicato decenni di studi e ricerche e diversi libri. L’ultimo, Donne d’Iran tra storia, cultura e politica, edito dall’Istituto per l’Oriente (pagine 172, euro 16,00), traccia un percorso verso l’emancipazione affermatosi negli ultimi due secoli e caratterizzato da una peculiare pluralità. Si va dal giornalismo al femminile in epoca Qajar al femminismo di Stato sotto i Pahlavi, che portò alcuni progressi, per esempio sul fronte dell’istruzione, ma non un vero mutamento sociale e culturale. E poi la rivoluzione islamica di 41 anni fa, che all’inizio fu sostenuta da molte donne nell’ottica della riappropriazione della propria identità e sovranità ma che non ha mantenuto le sue promesse. «Se oggi le iraniane costituiscono il 65% degli studenti universitari del Paese e sono presenti in quasi tutti i settori professionali, spesso con carriere prestigiose, restano tuttavia vittime di leggi discriminatorie e costrizioni sociali non più tollerabili», chiarisce Vanzan. «In Iran una donna può essere un’imprenditrice di successo, ma non esibirsi su un palco come cantante solista. Né togliersi il velo in pubblico, né tantomeno accedere ai vertici della magistratura o alla gerarchia sciita». Su tutti questi fronti, dunque, le iraniane si sono mobilitate per rivendicare i propri diritti. Ma c’è un filo conduttore che unisce le diverse iniziative di singole cittadine, organizzazioni, gruppi di pressione? «Fin dall’inizio la lotta femminile per l’uguaglianza, la giustizia e i diritti ha assunto risvolti culturali», nota la studiosa. «Le prime donne che protestarono lo fecero tramite la loro arte, poi vennero le testate giornalistiche, in seguito, dopo la Seconda guerra mondiale, si sviluppò la prosa, poi ancora le arti visive... Oggi molte registe e attrici utilizzano il cinema per promuovere le loro istanze: andare a vedere un film o una pièce teatrale può assumere una valenza forte di dissenso, o di sostegno a una causa». Nel suo libro, l’autrice punta l’attenzione anche sulle riformatrici religiose, le cosiddette “femministe islamiche”.

«Il femminismo laico non è morto ma si è dovuto modificare perché le risposte del patriarcato sono state molto dure », spiega. «Molte donne, tra cui anche alcune deluse della rivoluzione islamica del ‘79, a coloro che le volevano emarginare in nome dei Testi sacri hanno controbattuto appellandosi proprio alle fonti della religione. Se la legge divina è immutabile – hanno detto – la sua interpretazione è umana e passibile di essere riformata e cambiata». E se è vero che «la strada sarà molto lunga prima che donne con una formazione di dottrina religiosa riescano ad arrivare alla stanza dei bottoni», è interessante notare come «questo movimento si sia spostato in altre zone del mondo islamico e spesso collabori con gruppi che si ispirano a una tradizione più laica». Donne osservanti, con un’identità religiosa e culturale forte, e ragazze che si strappano il velo per le strade: c’è oggi un’unità di aspirazioni nel multiforme attivismo femminile iraniano? «La battaglia comune più importante – spiega Vanzan – è quella per riformare il diritto di famiglia, che ha nelle sue pieghe degli enunciati chiaramente limitativi per le donne. Nonostante alcuni notevoli cambiamenti in positivo registratisi in questi anni, resta sempre quella che potremmo definire una “velata minaccia”. Ad esempio, la legge sulla lapidazione in caso di adulterio è stata sospesa e non è applicata da anni, ma non è mai stata cancellata: resta dunque come una sorta di spada di Damocle sulle iraniane». Le quali chiedono «non solo modifiche legislative specifiche, per esempio un trattamento più equo in caso di divorzio, ma una riforma della società profonda e globale, che loro stanno anticipando con l’esempio quotidiano, imponendo la loro presenza nello spazio pubblico, che la rivoluzione di Khomeini voleva eliminare».

Questa presenza assume poi stili diversi a seconda delle singole sensibilità: «Non dobbiamo dimenticare, d’altra parte, che la società iraniana è molto variegata: il Paese non è affatto uniforme come di solito viene rappresentato all’esterno». L’insoddisfazione, tuttavia, è un tratto ormai comune, come dimostrano le ricorrenti proteste di piazza, regolarmente represse con la forza. «Tra i giovani c’è molta insofferenza per un’infinità di norme liberticide, forme di censura, divieti», conferma la studiosa. «Se aggiungiamo il fatto che economicamente il Paese è in una morsa, sia per la cattiva gestione interna sia a causa delle sanzioni internazionali, capiamo perché questi ragazzi sono esasperati. Il numero di diplomati e laureati è cresciuto esponenzialmente, ma i giovani non trovano un lavoro consono alla loro formazione. Sulla base di questa frustrazione le frequenti crisi, dai disastri naturali agli scandali politici, scatenano deflagrazioni sociali massicce». Il regime dei mullah è in bilico sul caos.

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