mercoledì 17 settembre 2014
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IL PERSONAGGIO Don Vinicio Albanesi, nato 71 anni fa a Campofilone, nelle Marche, è abate-parroco dell’antica abbazia di San Marco alle Paludi di Fermo. Fino al 2002 è stato a capo del Coordinamento nazionale delle Comunità di Accoglienza, succedendo a don Luigi Ciotti. Da venti anni è responsabile della Comunità di Capodarco, organizzazione non governativa di solidarietà. Ha pubblicato diversi libri, l’ultimo dei quali, "Il sogno di una Chiesa diversa. Un canonista di periferia scrive al Papa", che sarà presentato a Capodarco il 20 settembre dall’arcivescovo Luigi Conti, immagina in concreto come potrebbe essere riformata la Chiesa nelle sue strutture e negli organismi che la reggono: il sacerdote si rivolge direttamente a Francesco nella forma della lettera aperta. La Comunità di Capodarco «sceglie di stare dalla parte di chi non ha diritti», nello stile della condivisione e del coinvolgimento profondo con la storia dell’altro. Nata nel 1966 da un giovane prete, don Franco Monterubbianesi, e da tredici persone disabili, oggi è una comunità internazionale al servizio dei poveri e degli emarginati di tutti i continenti, con un’attenzione prevalente per i disabili.Il don Vinicio Albanesi che molti conoscono, e che ci accoglie nella sua comunità di Capodarco attorniato da 85 profughi salvati dalle acque di Pozzallo e Lampedusa, è il prete di strada, quello che Candido Cannavò avrebbe chiamato 'pretaccio'. L’altro, l’autore di un libro che propone a papa Francesco nientemeno che una riforma della Chiesa, è il don Vinicio docente di Diritto canonico all’Istituto Teologico Marchigiano, per lunghi anni presidente del Tribunale ecclesiastico regionale.  Il sogno di una Chiesa diversa,  volume che esce oggi dall’editrice Àncora (pagine 112, euro 14), è nelle sue intenzioni «una lettera aperta al Papa», il «contributo aperto e sincero» per ripensare gli organismi che la regolano. Ma quale dei due è il don Vinicio che si rivolge a Francesco? Il prete di strada o lo studioso di norme e regolamenti? Il sottotitolo, Un canonista di periferia scrive al Papa, rivela le due anime dell’autore e le sue intenzioni: «Leggi e organismi sono necessari. Ma devono servire a vivere appieno lo spirito evangelico della Chiesa, altrimenti diventano ostacolo», esordisce. Don Vinicio, che cosa l’ha indotta a questo passo? «Il distacco tra 'l’apparato ecclesiastico' e la fede reale delle persone. Un apparato che spesso è estraneo, persino oppositivo a quanto le anime vivono quotidianamente. Dico questo da dentro la Chiesa e per amore della Chiesa, conscio che nessuno è perfetto nel mondo, ma che ciascuno è chiamato alla perfezione, come indica il Vangelo. Può sembrare temerario che un parroco di campagna come me suggerisca la riforma degli organismi ecclesiastici, ma a mio vantaggio ho la storia delle mia vita, immersa contemporaneamente nel giuridico e nella condivisione con chi è più sfortunato nella vita. Una duplice visione che mi ha permesso di non idolatrare la legge, ma anche di riconoscere che senza orientamenti e regole nessun gruppo potrebbe sopravvivere». Il sogno di cui lei parla nel titolo ricorda tanto l’espressione con cui il Papa spiegò al mondo la scelta del nome Francesco: 'Sogno una Chiesa povera, per i poveri'. «Francesco ci chiede continuamente di non creare barricate, ma strade accoglienti, di non ridurre i sacramenti a una 'dogana', ma di farne una porta spalancata verso Dio. Se il Papa fa tanti appelli in tal senso significa che le cose non vanno sempre così e allora occorre una riforma che non ha nulla di teologico, ma che modifichi strutture ormai antiquate, impedendo ai burocratismi di ostacolare lo spirito evangelico. Soprattutto è necessario distinguere il diritto canonico dalla legislazione civile: la Chiesa deve seguire un filo logico diverso, non può imitare il codice penale, il suo fondamento è Cristo che ci salva con la croce». Un esempio concreto? «La nullità del matrimonio: segue la prassi di una vertenza, con procedure tipiche del contenzioso, con prove, testimonianze, appelli... È vero che il matrimonio è un contratto, ma contemporaneamente è un sacramento, e il fatto di non trattarlo come tale, di considerarlo fuori da uno stile evangelico, dà effetti nefasti. La stessa cosa accade nel libro V del Codice di Diritto canonico sui beni della Chiesa: sembra un codice di Diritto civile... e allora non sono più beni 'della Chiesa' ma del mondo. Il denaro è necessario ma pericoloso, occorre molta trasparenza e strutture che non lascino dubbi sulla semplicità e povertà della Chiesa: Francesco invoca spesso queste trasformazioni, ma un cambiamento si ottiene solo riformando gli organismi, non basta sostituire le persone». Andiamo allora nel concreto. Da dove iniziare? «Dalla presenza dei laici nel governo della Chiesa. Oggi chi conta nel diritto canonico sono quasi esclusivamente i chierici, mentre il popolo di Dio è presente in tono minore: alla 'costituzione gerarchica della Chiesa' sono dedicati ben 480 articoli, ai laici solo 60. Eppure il Concilio Vaticano II con la Lumen Gentium anteponeva chiaramente il sacerdozio comune dei fedeli a quello gerarchico. C’è quindi una discrepanza che va saldata, perché la Chiesa è di tutti, è costruita sulla santità di ognuno e allora anche l’organizzazione non può sottrarsi a questo principio. Oggi l’organizzazione ha ancora uno schema piramidale, con potere apicale, maschile e celibatario: sarebbe bene che alcuni organismi fossero invece presieduti da battezzati non ordinati... Ad esempio fa sorridere il fatto che il Pontificio Consiglio per la famiglia sia presieduto da un vescovo! Parliamo tanto di famiglia, ma poi non ha un ruolo: io suggerisco un Sinodo permanente che coinvolga tutti, soprattutto la famiglia, anche a livello di diocesi e di parrocchie, per insieme  condurre la Chiesa». Una famiglia comunque assediata da ideologie che tentano di snaturarla, come quella del 'gender'. «Sono ideologie suicide, destinate a morire per autoconsunzione: dove vogliono arrivare? La famiglia naturale, quella fondata sul matrimonio di un uomo e una donna che generano vita, è la base fondamentale della società. Una volta distrutta la famiglia, non andremmo da nessuna parte. Appena si vedranno gli effetti nefasti di tutto questo, si tornerà indietro per forza». Lei propone anche un radicale snellimento della Curia. «Il vescovo è diventato l’apice di una carriera, io invece non concederei l’ordinazione episcopale per servizi curiali, di rappresentanza, onorifici, perché non è possibile essere vescovi senza cura d’anime. Queste sono le 'dogane' da riformare, frutto della storia umana piuttosto che dell’ispirazione di Dio. E le circa 160 sedi di nunziatura nel mondo, costosissime, a cosa servono? Certo non a garantire libertà di evangelizzazione dove questa non esiste: anche in questo caso la Chiesa imita meccanismi tipici della comunità civile. E lo Stato della Città del Vaticano, nato secoli fa dalla questione romana, ormai è anacronistico: mischia funzioni civili e autorità religiosa, condannando il Pontefice a essere capo di Stato e guida della Chiesa universale. Sarebbe più consona una Organizzazione non governativa internazionale che abbia rapporti con gli Stati, senza imitarne le logiche». «Non abbiate paura», ci raccomandano i Papi. Ora è lei che chiede a Francesco «non abbia timore di resistenze, le posso assicurare che una riforma è desiderata dai fedeli laici, dai presbiteri, dai vescovi». «Lo faccio con modestia, incoraggiato dalla straordinaria capacità di Francesco di riportare a verità tutta la nostra storia. In questo libro ho esposto i princìpi ispiratori di una riforma a livello di riflessione, ma ho un sogno, di scriverli in forma giuridica... Se me lo chiederanno farò il mio mestiere».
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