sabato 5 settembre 2015
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“Jesus”, per via del barbone e dei capelli lunghi. Però quel soprannome lo imbarazza un po’ perché Luigi Datome, cestista di professione e saggio per vocazione, “twitta, instagramma, facebukka”, ma alla fine è pur sempre un ragazzo di una volta: «Sono credente, ma a volte i fan esagerano un po’». Molto meglio Gigione. A 28 anni ancora da compiere, in un bel video che racconta il clima azzurro dietro le quinte, Datome confessa sereno: «Non voglio far parte dell’unica generazione che non ha vinto niente». Se non il leader, che adesso pare perfino una brutta parola nello sport, è la guida spirituale dell’Italia che agli Europei di basket cercherà di riprendersi un posto al sole, leggi podio ma, soprattutto, qualificazione olimpica, che manca da 11 anni. Dall’argento di Atene (2004) al buio di questi due lustri lontani da tutto, mentre gli altri facevano il pieno di medaglie. Da quando ha le stelle Nba la Nazionale di basket è sparita dalle carte geografiche: è un paradosso diventato problema. Ora bisogna trovare la soluzione: far sì che gli azzurri “americani”, spostino finalmente gli equilibri.Datome, veneto di Montebelluna cresciuto a Olbia, ha fatto tutta la trafila da Siena fino ai Detroit Pistons e ai Boston Celtics («Pochi giocatori hanno fatto più gavetta di me, ma ho anche avuto la fortuna di arrivare in Serie A già a 16 anni: certo, non bisognerebbe pretendere di avere tutto e subito») è il prototipo del giocatore totale che tanto va di moda di questi tempi. «Abbiamo fatto oltre un mese di preparazione, ci sono stati momenti positivi e altri negativi, ma siamo pronti e abbiamo anche la necessaria maturità per affrontare questo campionato». L’ultima occasione per lui, Belinelli, Bargnani e Gallinari, dicono, di dimostrare di essere dei frangiflutti, cioè giocatori che spostano le acque del mare, quando conta. Tenendo presente che le ultime medaglie furono raccolte con un gruppo molto, ma molto più operaio. Per la “banda dei quattro”, Datome lo sa bene, c’è anche il problema di uscire dai panni Nba e rimettersi quelli del basket nostrano. «Vero, ma sinceramente io questo problema credo di averlo meno degli altri perché ho giocato 10 anni in Italia, ho sempre giocato in Nazionale, fin dalle giovanili, così faccio meno fatica a resettare la mente. Certo, sono due mondi cestistici diversi. Nella Nba c’è un diverso atletismo, una fisicità molto più marcata, diverse regole sui 3 secondi che gli permettono di riempire maggiormente l’area, e angoli di uscita dai blocchi diversi. Ma ci si abitua a tutto alla fine». Con 130 partite (e 1199 punti) Datome è il veterano del gruppo di Simone Pianigiani che all’Europeo è in un girone di ferro con Germania, Turchia, Spagna, Serbia e Islanda, tolta l’ultima sono tutti bocconi molto indigesti. Ma Gigione non è una chioccia, è solo un diversamente giovane. Uno raramente banale, anzi molto attento a tutto quello che succede fuori dai 28 metri del parquet: «La mia esperienza negli Stati Uniti è condizionata dal fatto che giocando nella Nba è come stare dentro una bolla dorata, ma per quel che ho visto mi sembra la terra delle possibilità e delle occasioni. Conosco gente che davvero ci è arrivata con mille dollari in tasca e si è costruita tutto, lavoro, famiglia e casa. Certo ci vuole molta buona volontà, ma se tieni duro hai dei frutti. E chi ha idee e coraggio viene premiato, non come da noi dove a tante aziende vengono tagliate le gambe». Nella peggiore delle crisi, uno come Gigione può essere una metafora: non ci sono solo i cervelli in fuga, ci sono anche i cervelli con annesso un corpo da atleta e un talento tecnico. «Il momento continua ad essere molto difficile in Italia, penso a tanti giovani come me e anche di più, ma spero che possano arrivare investimenti. Spero che la burocrazia e la pressione fiscale diminuiscano, perché se le aziende arrivano a vedere erosi i ricavi fino al 70%, è chiaro che poi se ne vanno in Polonia, Romania o comunque altrove». Da sardo vero, uno che passa le vacanze al mare nella sua splendida isola, ogni riferimento è puramente voluto: «Non solo l’Alcoa e le altre vicende del lavoro che hanno impoverito la mia regione, con burocrazia mi riferivo per esempio ai fondi per l’alluvione che ha colpito la mia terra e che non sono stati ancora sbloccati, pur essendo disponibili». Viveva a Boston, Gigione, ma non era poi molto lontano dalla Sardegna di cui si sente uno specchio quasi perfetto: «Bene o male mi riconosco nei valori della mia gente: leali, ospitali, grandi lavoratori, ma anche testardi e diffidenti. Però quando ci apriamo con qualcuno diventiamo amici per tutta la vita». Oggi inizia il Campionato Europeo, ma non è questa - o solo questa - secondo Datome la missione dello sport: «Spesso anche questo mondo fa notizia per gli scandali, ma credo che il vero significato, quello profondo, dello sport sia la dimensione sociale, educativa. Mi ci vedo anche, da grande, con dei bambini. È quello che nel mio piccolo ho sempre cercato di fare e credo che certe cose si devono appunto cominciare da piccoli, perché se un bambino sente i genitori che allo stadio o al palazzetto dicono parolacce, o si comportano male, non potrà che fare lo stesso da grande». Sembra tagliato per la pedagogia questo ragazzone col numero 13 addosso e un bell’orizzonte davanti: «Finito con la Nazionale ci sarà l’avventura in Turchia col Fenerbahce, io vivrò nella parte orientale di Istanbul e sono molto curioso per questa esperienza di vita, sono affascinato da quel mondo e spero di aver del tempo per vedere, conoscere». Persino un po’ sprecato per infilare palloni nel canestro, direbbe forse qualcuno che non conosce come sia difficile farlo, ma se riesce a «portare a casa qualcosa, perché questa squadra ne ha le capacità» - come risponde alla domanda sugli Europei - magari glielo perdonano volentieri.
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