giovedì 18 giugno 2020
I partenopei conquistano il primo trofeo di questa stagione surreale, con un Pallone senza pubblico e forse senz'anima. La partita si era chiusa sullo 0-0 (4-2 dal dischetto)
L'esultanza del Napoli con il presidente De Laurentiis

L'esultanza del Napoli con il presidente De Laurentiis

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Quando Pier Paolo Pasolini scrive del «calcio, ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», intende il calcio in uno stadio pieno di pubblico. Perciò, il Poeta di Casarsa non avrebbe mai concepito questo pallone virtuale, senza pubblico, ma solo ad uso e consumo del telespettatore, come quello visto (e lo vedremo fino ad agosto) anche ieri sera nella finale di Coppa Italia Juventus–Napoli. È un calcio un po’ malato, per niente bello e senz’anima, come l’inno (stonato) dell’Amico di Maria, il cantante Silvestre. Ma questo è, se vi piace (?). Dopo le due semifinali, l’ultima gara della trilogia surrealista, finisce ai rigori (dal dischetto sbagliano Dybala e Danilo) con la consegna della Coppa in modalità self–service ai vincitori del Napoli (4-2 dal dischetto). Epilogo giusto dopo 90 minuti stanchi, riempiti appena da fastidiosi rumori di fondo. Qualche parolaccia ben mascherata dal sonoro di Rai 1 e dagli stucchevoli, quanto ansiogeni all’occhio, effetti speciali: le bandierine policrome sbandierate sugli spalti del fantasmagorico Olimpico al solo scopo di dare risalto allo sponsor. Spettacolino grafico da playstation per liceali in vacanza, eppure lussuosa diretta tv trasmessa in 200 Paesi nel mondo, tanto per recuperare un po’ del denaro perduto, causa il pestifero lockdown globale. E in campo? Fraseggi lunghi e sgrammaticati, falli continui da scompenso fisico. Giocatori imballati e gesti tecnici quasi sempre approssimativi. Anche il divino Ronaldo è irriconoscibile. Maksimovic e Koulibaly ringhiano sulle caviglie degli juventini con la stessa grinta di mister Rino Gattuso più che mai amato dal cielo dove ha una stella in più. Sarri a bordo campo con la sua classica cicca smozzicata in bocca e la tuta blu da ex Mimì metallurgico, non si capisce se è ancora il coach del Napoli dei record (91 punti con lui in panchina, e zero titoli) o il grande cerimoniere del «bel calcio» chiamato alla corte della Juventus.

Bel calcio? Ancora non pervenuto. Andrea Agnelli e il suo mentore Pavel Nevded nella tribuna deserta sbadigliano sotto le mascherine anti–Covid, mentre il patron partenopeo De Laurentiis si annoia come a una prima dove sullo schermo non proiettano un suo cinepanettone. «Pressione ma senza far fallo!», urla Buffon ai suoi compagni. Il vecchio Gigi delizia i commentatori Rai che si allenano da interpreti del pensiero debole dei 22 in campo. In tutto questo falò delle vacuità il primo lampo al 24’: punizione maligna di Insigne e Buffon è salvato dal palo. L’unico uno–due riuscito tra Dybala e Ronaldo viene sventato da Meret. Il Napoli chiude il primo tempo con un arrembaggio d’antan: blitz Demme che calcia a botta sicura ma Buffon devia in angolo. Nella ripresa unico brivido a tempo scaduto, Maksimovic colpisce il 29° palo stagionale del Napoli. Una beffa sanata dal dischetto. Vince il Napoli, ma un calcio così rende più attuale e meno virtuale anche il 50° di Italia– Germania 4–3 e pone sullo stesso piano delle big anche una gara di serie B: ieri Ascoli–Cremonese (1–3) ha ridato il via al torneo cadetto.

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