giovedì 4 giugno 2020
I due cantautori siciliani lanciano il cd “I mortali”: «Prendiamo coscienza della nostra finitezza, ma per vivere pienamente». Sotto una splendida “Luna araba” cantata con Carmen Consoli
Dimartino e Colapesce nella foto di copertina del Cd “I mortali”, in uscita domani

Dimartino e Colapesce nella foto di copertina del Cd “I mortali”, in uscita domani

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«Una luna araba ci prende e ci trascina dentro l’acqua trasparente. La sua luce è ferma lì da sempre... Una luna araba ci prende e non ci lascia andare». Sembra il destino dei siciliani, della Sicilia, quella che parla di normanni e spagnoli, che incanta dalla Scala dei Turchi a Ortigia. La Sicilia è – Goethe docet – la «chiave di tutto». Ma c’è una stella luminosa, una luna per ogni popolo, che guida, chiama, trattiene. A tutte le latitudini. È quell’ «istinto primordiale», che è «cercare di stare bene». «Luna araba è come un affresco di Bosch (siculo), una carrellata di immagini singole che insieme danno una visione globale di un’isola che ha sempre accolto, nutrito, divorato e sputato fuori i suoi popoli, anche noi tre. Lorenzo, Antonio e Carmen». Sono Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, Antonio Di Martino, in arte Dimartino, e Carmen Consoli, la mitica cantantessa. Un trio che libera una sorprendente e trascinante Luna araba che anche musicalmente «ti prende e non ti lascia andare», perché è bellissima, ti entra dentro e muove magicamente le corde vocali e quelle del cuore. Una luna rock che spazia dai colori dei Beatles al “faro” di Franco Battiato. Passando per la vulcanica Consoli, feat in un brano cucito perfettamente per la sua voce inconfondibile, e che Colapesce e Dimartino hanno lanciato nelle scorse settimane anticipando l’uscita (il 5) dell’album I mortali (42 Records/Sony Music). Primo lavoro a doppia firma per i due musicisti e cantautori siciliani che collaborano da anni, emersi prepotentemente nei festival rock per uno stile che – nell’appiattimento dominante di trap e rap – li pone come innovatori della scena musicale. Una conferma e una sorpresa insieme, guadagnandosi tutti i titoli della stampa internazionale - dal The Guardian a Le Monde - che da tempo li incorona come il futuro della musica italiana. Espressione di fermento tutto siciliano che impressiona per qualità, sound, cura dei testi. Un ritmo travolgente, che rapisce al primo ascolto. E se il futuro è già adesso per il duo ColapesceDimartino, chi sono I mortali rapiti dalla Luna araba? «In Sicilia il tema della mortalità è molto forte. E interessa tutti, anche l’adolescente nel pieno della vita…» – dice Dimartino, originario di Misilmeri, ora a Palermo, che dalla prima band dei Famelika ha fatto un lungo percorso, seguendo fino in Messico le orme della cantante Chavela Vargas, diventato prima un romanzo, nel 2017, Un mondo raro (La nave di Teseo) scritto con Fabrizio Cammarata e poi un disco, registrato a Città del Messico, insieme a Juan Carlos Allende e Miguel Peña, storici chitarristi della cantante messicana. «La morte come pretesto per parlare della vita», aggiunge Colapesce, originario di Solarino, in provincia di Siracusa, che da cinque anni vive invece a Milano, riuscendo a “sfuggire” alla Luna araba che in continuazione “lo chiama”. «Penso a pagine stupende di Bufalino, di Sciascia. I mortali, per ricordarci che bisogna vivere prima. Che siamo destinati tutti alla fine, non dobbiamo dimenticarlo. Per vivere pienamente. Anche se in questo ultimo periodo, con questa emergenza è stato difficile farlo».

Una dimensione, quella del lockdown, in un tempo di incertezza e paura, che Colapesce aveva in qualche modo profeticamente anticipato nel 2012 in un brano di Un meraviglioso declino (Targa Tenco 2012 come “migliore opera prima”) intitolato proprio Restiamo in casa. I due musicisti, la cui vita li porta sempre in giro, quel fatidico sabato di inizio marzo si trovavano entrambi nella loro Isola, uno a Siracusa, di fronte al mare di Ognina, l’altro nel cuore di Palermo. E lì sono rimasti fino ad oggi, giorno di uscita dell’album. «Per la prima volta sono stato due mesi di fila con mia figlia di tre anni. Un tempo per la famiglia. Ho giocato un sacco», racconta Dimartino. «Io mi sono ritrovato nella casetta al mare di fmiglia senza strumenti, senza nulla – dice Colapesce –. Per un mese sono stato fermo. Poi ho comprato una nuova chitarra e ho ripreso a scrivere, ma senza riuscire a fare molto. In realtà scrivo meglio quando sono a Milano». Ed è a Milano che sono nati i testi anche del precedente Infedele, con una spiazzante copertina che vede Lorenzo bambino nel giorno della Prima comunione. Una provocazione che in tutto l’album aiuta a ri- flettere su molti messaggi e valori. Che partono dalle pietre di Pantalica, una magica necropoli, patrimonio Unesco in provincia di Siracusa. Ancora i morti. Per raccontare la vita. In maniera Totale. Uguale per tutti. Perché «siamo nati tutti senza denti, tutti senza nome». E così I mortali danzano leggeri. Pensano, riflettono, ma senza incupirsi. La premessa del primo brano Il prossimo semestre è una perla di autoironia, c’è la “solitudine del cantautore” sospeso fra quello che sente e quello che deve proporre, pur di piacere, cercare «di essere impegnato senza esserlo», «rassicurante »: figuriamoci una canzone che possa parlare dei «migranti, no, per carità», piuttosto «scrivi una canzone d’amore», perché non si sbaglia mai. Ma l’amore che descriveranno subito dopo, è un amore inaspettato, inimmaginabile. Quello di Rosa e Olindo, la coppia della strage di Erba, i «mostri perfetti», «che nell’orrore della vicenda» si dedicheranno «un pensiero al giorno», «vogliono vivere insieme la loro condanna. Avrebbero voluto una cella matrimoniale…», spiega Dimartino. «Attraversiamo l’amore nelle sue tante sfaccettature, un sentimento che riempie la vita», aggiunge Colapesce. Così in Raramente «se facessi a meno di te sarebbe un’altra odissea»; un amore fino all’Ultimo giorno, e poi «potremmo andarcene dove ci pare»: ma «che fine del mondo sarebbe senza di te». La morte e l’amore. La fragilità di un’esistenza, dell’Adolescenza nerafino al giallo di Majorana: «Anche tu scomparso da un po’. Anche io scomparso da un po’». Il mistero. Ancora Sicilia. Ancora mare. Ancora luna. «La luna araba – dice Dimartino – è in realtà una condizione dell’anima, più che paesaggistica. La luna araba è questo astro nel cielo che veglia su tutto quello che accade. La teoria di Tomasi di Lampedusa è che dopo i vent’anni si crea una specie di crosta che ti avvolge e ti trattiene… Per quanto mi riguarda, la luna è questa crosta». La luna non ha trattenuto Colapesce, il mito che dai mari dello Stretto ha nuotato fino a Milano, provando il senso della Distanza( titolo di un suggestivo fumetto con Alessandro Baronciani per Bao Publishing). «Da quando vivo a Milano, il mio accento peggiorato. È qui che scrivo. La Sicilia te la porti a prescindere, è una condanna. La luna araba la vedi anche da qui», dice Colapesce. Ma è una sensazione che si può generalizzare, dai Sud del mondo alle aurore boreali. «Borges parlava dell’Argentina – ricorda Dimartino –. La nostalgia per la propria terra anima la penna di scrittori e musicisti. Non abbiamo inventato niente di nuovo. Anche in Messico si festeggia la morte». Poi riprende il ritornello. «Una luna araba ci prende e ci trascina nell’acqua trasparente ». Come una liberazione. Un tuffo di speranza. Per tutti I mortali. «E non ci lascia andare».

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