martedì 22 agosto 2023
Il geniale fisico americano al centro del nuovo film di Cristopher Nolan fu scelto anche per una certa remissività politica e non ebbe i ripensamenti di altri scienziati del progetto Manhattan
Robert Oppenheimer nel 1946

Robert Oppenheimer nel 1946 - WikiCommons

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All’indomani della Seconda guerra mondiale, quando l’euforia della sconfitta giapponese scemò lasciando il posto a un’analisi meno emozionale degli eventi, iniziò a farsi largo una domanda etica in particolare tra gli ambienti scientifici: può uno scienziato collaborare alla costruzione del più potente ordigno bellico sino ad allora mai ideato e autoassolversi, vivendo in pace con sé stesso? Enrico Fermi, Hans Bethe, Edward Teller non espressero alcun rimorso per la loro partecipazione alla realizzazione delle bombe nucleari lanciate su Hiroshima e Nagasaki. Altri colleghi, invece, come Emilio Segré, Leo Szilard, che pur aveva scritto assieme a Einstein la lettera che indusse Roosevelt a varare il Progetto Manhattan, o Joseph Rotblat, che lasciò il progetto addirittura prima dell’utilizzo delle bombe e nel 1995 vinse il Premio Nobel per la pace, fecero una seria riflessione sulle loro responsabilità criticando i programmi di proliferazione atomica. Robert J. Oppenheimer si distinse da tutte queste posizioni per la sua famosa ambiguità.

Nato in una famiglia ebrea in cui l’empatia con il prossimo e la condotta etica erano colonne portanti del comportamento sociale, solidificò queste attitudini frequentando in adolescenza la Ethic Culture School. Laureatosi in chimica a Harvard, continuò gli studi in fisica prima a Cambridge in Inghilterra assieme a Thomson e poi con una tesi di dottorato a Gottinga, con Max Born. Brillante teorico, mente eclettica, poliglotta, carismatico quanto basta per attirare l’attenzione su di sé senza creare invidie, fino al 1942 Robert era un fisico teorico sconosciuto al di fuori del ristretto mondo accademico. I suoi innumerevoli interessi lo indussero a intraprendere numerosi campi di studio senza però approfondirne alcuno in modo così appropriato da poter essere definito uno specialista. Fu anche per questo motivo che non vinse mai il premio Nobel.

Leslie Grover lo scelse a capo dei laboratori di Los Alamos soprattutto per le sue capacità organizzative e per la sua indole remissiva nei confronti della politica, preferendolo ad altri fisici più famosi di lui come Fermi. Inoltre, pur non essendosi mai iscritto al Partito comunista, la sua frequentazione degli ambienti della sinistra americana del tempo lo rendeva uno scienziato facilmente ricattabile in caso di fallimento del programma.

In diverse occasioni in qualità di direttore di Los Alamos espresse pieno appoggio alla politica della Casa Bianca: scoraggiò Leo Szilard a far circolare una lettera tra gli scienziati in cui si chiedeva che fosse organizzata alla presenza di autorità giapponesi un’esplosione nucleare dimostrativa, perché «il nostro destino è nelle mani dei migliori e coscienziosi uomini della nostra nazione che sono in possesso di informazioni che noi non conosciamo». Il 16 giugno 1945 scrisse un memorandum destinato al presidente Truman in cui affermava che «non possiamo proporre alcuna dimostrazione tecnica che possa porre fine alla guerra; non vediamo alcuna alternativa all’uso militare diretto».

Dopo la guerra le sue convinzioni si lacerarono in tagli che lasciarono intravedere un percorso tortuoso, contorto e ambiguo della sua coscienza etica. Continuò a leggere la Bhagavadgita cercando in essa risposte al suo tormento. Se Arjuna, in quanto kshatrya (guerriero), aveva il dovere di entrare in battaglia uccidendo anche parenti ed amici, Oppenheimer era uno scienziato e come tale doveva «credere che sia un bene trovare come funziona il mondo e se vedi qualcosa che tecnicamente ti solletica, vai avanti a ricercare e a trovare una soluzione e solo dopo che hai trovato la soluzione discuti cosa fare con quello che hai scoperto. Questo è quanto è accaduto con la bomba atomica». A chi gli chiedeva come si sentisse nell’aver contribuito a creare un ordigno così devastante, lui rispondeva: «Non mi sono mai pentito e non mi pento ora per aver fatto il mio lavoro». Robert Oppenheimer affermò sempre che il compito dello scienziato era quello di scoprire, mentre come utilizzare le scoperte era esercizio devoluto alla politica.

Dopo la guerra questa sicurezza mostrò alcune crepe: Robert si oppose allo sviluppo delle armi termonucleari, ma non alla proliferazione atomica che invece vedeva come un modo per prevenire le guerre e permettere anche alle nazioni meno potenti di crearsi uno scudo contro la prepotenza degli Stati dominanti. Vittima di un processo farsa, fu allontanato dalle attività della Commissione per l’energia atomica e da ogni ricerca nucleare negli Stati Uniti. Quello che era considerato l’eroe della Seconda guerra mondiale, nel 1954 in pieno maccartismo fu trasformato in un traditore e accusato di aver passato segreti nucleari all’Urss. La sua riabilitazione giunse, tardiva, solo il 16 dicembre 2022 quando Oppenheimer, devastato e deluso per il trattamento ricevuto, era già morto, per un tumore alla gola, il 18 febbraio 1967 a 63 anni


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