martedì 30 maggio 2017
Dal 2004 a contendersi il trofeo più ambito d’Europa sono le squadre dei soliti quattro Paesi: Italia, Spagna, Germania e Inghilterra. Un torneo squilibrato per pochi (ricchissimi) eletti
Champions, se il finale è già scritto
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Qualche sospetto era venuto scorrendo le “goleade” della prima fase a gruppi e qualche risultato sbilanciato dei turni a eliminazione diretta. La sensazione era che la Champions League si prestasse troppo spesso a esiti di partita poco equilibrati. Una situazione non ideale per la più importante competizione mondiale per club, la coppa che tutti vogliono alzare e ora è affare esclusivo di Juventus e Real Madrid che se la contenderanno nella finale di Cardiff il 3 giugno. Anche i dati confermano questa osservazione di valori troppo distanti per molte delle partecipanti. Uno degli studi più interessanti dell’osservatorio sul calcio professionistico del Cies di Losanna ha rivelato che la Champions è il terzo torneo più squilibrato d’Europa. La ricerca riguarda coppe internazionali e campionati nazionali. Sono stati presi in considerazione 33 tornei. Il parametro di riferimento è rappresentato dallo scarto di gol equivalente o superiore a tre. La Champions ha la terza percentuale più alta con questo indicatore: il 21%, più di una partita su cinque finisce con un divario molto netto di reti tra le due formazioni in campo. Una percentuale più alta si trova solo nella massima divisione di Cipro e Austria: rispettivamente 22.5% e 21.5%. Non proprio due campionati di prima fascia. Per fare un confronto con l’altra coppa organizzata dalla Uefa, in Europa League solo il 13.5% delle sfide finisce con tre o più gol di scarto: solo sette campionati sono più equilibrati. In effetti, a giudicare dalle semifinali, per quanto riguarda il penultimo atto è stata la tanta vituperata ex Coppa Uefa ad appassionare di più gli spettatori calcistici del Vecchio Continente. In finale il divario è sembrato netto tra Manchester United e Ajax, ma i turni precedenti avevano regalato sfide davvero appassionanti. Più in generale l’Europa League riesce ad avere un tasso di imprevedibilità più marcato perché i nomi delle squadre che arrivano in fondo sono molto più soggetti a variazioni, al netto del dominio rappresentato dal Siviglia negli anni precedenti a questa edizione. La Champions invece sembra recitare un copione quasi scontato. Sconfortante da questo punto di vista, ad esempio, osservare l’andamento di un ottavo di finale come quello tra Bayern e Arsenal, dominato dai tedeschi. Ormai arrivano al momento decisivo della competizione solo squadre dei primi quattro campionati europei. Le intrusioni non sono più consentite. L’ultima finale tra squadre non appartenenti ai tornei di Italia, Spagna, Germania e Inghilterra risale al 2004 quando si affrontarono Porto e Monaco. Da allora sono andate in scena tredici finali (considerata anche quella imminente di Cardiff) sempre tra formazioni di Premier, Liga, Bundesliga o Serie A. Una kermesse riservata a pochi eletti: Milan, Liverpool, Manchester United, Barcellona, Arsenal, Real, Atletico Madrid, Chel- sea, Inter, Bayern, Borussia Dortmund, Juventus.

La concentrazione della ricchezza in pochi grandi club riduce l’imprevediblità e limita al massimo gli outsider. La relazione tra risultati e possibilità economiche dei movimenti calcistici nazionali è evidente. È interessante notare che i campionati più ricchi d’Europa sono nella prima metà della classifica dei tornei nazionali più squilibrati: Francia 6ª, Inghilterra 8ª, Spagna 9ª, Italia 11ª e Germania 15ª. Secondo i ricercatori del Cies, questa graduatoria è il frutto di una diretta correlazione con l’entità dei ricavi economici. Quindi maggiore è la ricchezza, maggiore è lo squilibrio. Sarebbe auspicabile - secondo lo studio - arrivare a una distribuzione più equa di queste risorse, in particolare degli introiti da diritti tv. Michel Platini aveva intuito un’evoluzione simile fin dall’inizio del suo primo mandato da presidente Uefa. L’ex fuoriclasse francese aveva introdotto il fairplay finanziario anche per calmierare le differenze economiche e frenare gli investimenti dei nuovi nababbi. E aveva introdotto modifiche al sistema di ingresso alle coppe in modo da favorire la partecipazione di squadre di nazioni non di prima fascia. Un accorgimento pensato per portare soldi in ogni angolo calcistico d’Europa.

L’avventura di Platini è finita come è finita. Ma il problema resta. Ed è destinato ad acuirsi con la nuova formula che, a partire dal 2018-19, riserverà quattro posti fissi nella fase finale a Italia, Inghilterra, Germania e Spagna. È stata la risposta Uefa alle spinte delle grandi (guidate da Bayern, Juventus e Real) a favore di una Superlega che avrebbe mandato in crisi la Champions League e avrebbe di fatto mandato in archivio i campionati nazionali. Ma ne è uscito un’ulteriore premio alle nazioni già più ricche delle altre. Pioveranno soldi del montepremi verso i quattro Paesi con quattro squadre: una situazione che finirà per cristallizzare la loro supremazia nel ranking Uefa, rendendo molto difficile un sorpasso da parte delle Nazioni che seguono le prime quattro. Non a caso, la più inferocita per questa riforma è la Francia che vede sfumare le sue possibilità di inserirsi tra le prime quattro. Per l’Italia è un’opportunità unica di riallinearsi con Inghilterra, Spagna e Germania. Ma la meritocrazia sportiva non è uscita benissimo da questa evoluzione. E non basteranno i correttivi introdotti ai criteri di divisione del montepremi - pensati per attutire l’effetto favorevole ai quattro grandi con un maggior peso per il coefficiente sportivo - per calmierare questi effetti. Già ora è difficile inserirsi tra questi squadroni. In futuro gli exploit saranno ancora più complicati. Così è probabile che quel 21% di partite con tre o più gol di scarto sia destinato ad aumentare in futuro. E a lungo andare la Champions potrebbe perdere un po’ di fascino.

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