mercoledì 7 dicembre 2016
Per la prima volta la Casa di riposo per artisti allestisce una proiezione condivisa. C'è chi preferisce la versione “classica” e chi tira un sospiro di sollievo: «Finalmente niente jeans...»
La violinista Mirella Ciancetta e altri ospiti

La violinista Mirella Ciancetta e altri ospiti

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Il più soddisfatto è il baritono Claudio Giombi, 80 anni, che in questa strana Butterfly, sconosciuta ai più in quanto subito modificata da Puccini dopo il fiasco della prima alla Scala nel febbraio 1904, ritrova proprio quella che lui stesso cantò nel 1986 alla Fenice di Venezia: «In questa versione originale, ripescata da Chailly, c’è ancora tutta intera la mia parte, quella dell’ubriacone Yakusidé». Con voce potente e impostazione invidiabile intona a memoria: «All’ombra d’un kekì, che ci fate, o belle, all’ombra…». Invano, ci racconta, ha scritto una lettera due anni fa chiedendo all’ex sovrintendente di poter calcare ancora una volta il palcoscenico della Scala nella Bohème, «manco mi hanno risposto. Ma lei lo scriva su “Avvenire”, magari Chailly legge e mi chiama». Non è un visionario, né è l’età a suggerirgli sogni impossibili: lo ascolti cantare e capisci che «nelle parti secondarie ma comunque importanti» avrebbe ancora talento da vendere. Speriamo che Chailly legga e osi.

Storce il naso invece il tenore Angelo Loforese, 96 anni, spesso nei panni di Pinkerton, la prima volta accanto a Renata Scotto, la
seconda con Magda Olivero: «Lo considero un esperimento interessante, ma sono abituato all’altra Butterfly e tornerei a quella… Il soprano mi piace, ma il tenore canta tutto di gola e dimentica le raffinatezze, specie nel duetto d’amore, che dovrebbe essere tutto sensualità. Pieni voti alle scene». Insieme a Corelli, Di Stefano e Del Monaco era unao dei quattro grandi tenori, «erano i miei avversari», sorride… Siamo a Casa Verdi, nel cuore di Milano, la “Casa di riposo per musicisti” che il compositore di Busseto volle donare ai “cari compagni della mia vita”. Aprì i battenti nel 1902, due anni prima che Puccini desse alla lirica e al mondo il suo capolavoro ambientato in Giappone.



Da allora vi hanno trovato ospitalità oltre mille tra cantanti, orchestrali, compositori, maestri d’orchestra, ognuno con i suoi ricordi, i successi, le foto scattate sui palcoscenici del mondo, il proprio strumento, vero compagno di vita. Questa sera una cinquantina siedono sulle poltrone damascate rosse davanti alla tivù per la prima della Scala: «E’ la prima volta che ci organizzano una serata scaligera tutti insieme, di solito ognuno la segue nella sua stanza», sprizza gioia il maestro Giombi e tutti annuiscono, «speriamo diventi un’abitudine». In effetti l’atmosfera ha l’elettrica magia delle “prime” in teatro e l’illusione è perfetta. In silenzio religioso i Maestri di Casa Verdi ascoltano questa Butterfly, si accorgono di differenze e finezze che – c’è’ da giurarlo – tra il pubblico in teatro ben pochi colgono. In fondo siamo nel secondo tempio della lirica milanese, tra i massimi esperti e i protagonisti che molto avrebbero ancora da insegnare: «Io cantavo nella parte di Suzuki al Teatro Manzoni con Clara Petrella – racconta il mezzosoprano Stefania Sina, 88 anni, da 16 in Casa Verdi – ma era la versione nota della Butterfly, non questa. Mi sta piacendo molto per le scene e la regia, piuttosto bravo il soprano, ma con il tenore non ci siamo, urla sempre ed è freddo, lezione di canto ci vorrebbe!». Rosetta Rametta ha 95 anni ma, come tutti qui dentro, ne dimostra almeno dieci di meno. Truccata ed elegante come fosse in palco, non ha più accanto a sé il marito, «violinista alla Scala per 40 anni», ma sa bene che cosa avrebbe commentato lui: «Scene insuperabili, musica sempre incantevole, ma meglio l’altra Butterfly».


Sembra un leitmotiv, quasi un sollievo generale, quello di una regia che questa volta rispetta le intenzioni di Puccini e, pur innovando, non stravolge né tradisce. «Per forza, da troppo tempo ci avevano abituati ad allestimenti inaccettabili, con personaggi in jeans e ambientazioni stralunate. Certo, io che sono di Nagasaki trovo caricaturale anche questa regia: noi giapponesi non camminiamo a passettini e dietro i ventagli», sorride Matsumoto Chitose, soprano di 82 anni, arrivata a 20 in Italia per la lirica. Mirella Ciancetta, 94 anni, violinista al Regio di Torino, e Renato Perversi, 84, un tempo viola nell’orchestra della Scala, la Butterfly l’hanno suonata «almeno cento volte nella vita», potrebbero cantarla tutta ma… sono due verdiani, «qui siamo nella casa giusta!».


Sono le 21 passate quando Butterfly giace a terra, il cuore spezzato dal tradimento di Pinkerton e dal suo stesso pugnale con cui ha fatto hara-kiri per morire con onore. L’emozione è tangibile, difficile non piangere con Puccini, non tanto per le sventure dei suoi protagonisti, quanto per le sonorità, che misteriosamente scavano l’anima. In sala scoppia l’applauso come in teatro. Poi la platea di Casa Verdi si svuota, si torna nelle camere, ai propri strumenti, al proprio passato. L’ultimo commento è ancora del baritono Giombi, tranciante ed esperto: «La voce più bella è stata quella di Carlo Bosi nella parte di Goro, l’unico davvero convincente…”. Qui il pubblico è davvero esigente, altro che loggione, a Casa Verdi abitano solo veri musicisti.

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